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 2020  febbraio 05 Mercoledì calendario

I conti di Eataly

Lo scivolone nei conti è stato superato, ma nel contempo è svanito, ancora una volta, il sogno della Borsa. Si chiude così il 2019 di Eataly la creatura di Oscar Farinetti, gestita negli ultimi 4 anni dal super-manager Andrea Guerra che è prossimo a lasciare le redini del gruppo. L’altroieri il Cda di Eataly ha approvato il bilancio dell’anno appena chiuso. Secondo quanto risulta al Fatto, il fatturato consolidato è cresciuto ancora e si aggirerebbe intorno ai 550 milioni; il margine operativo lordo sarebbe intorno ai 25 milioni e sarebbe tornato un piccolo utile, tra i 5 e i 10 milioni.
Un cambio di passo che archivia un 2018 a passo di gambero. L’anno prima, infatti, la società aveva chiuso i conti con una perdita consolidata di 17 milioni. Ora il 2020 si apre con l’addio di Guerra, l’ex potente manager per un decennio in Luxottica e per una stagione consigliere economico di Matteo Renzi, prima di imbarcarsi nel 2016 nella gestione del gruppo del Made in Italy del cibo di qualità. Guerra approderà a marzo alla corte di Bernard Arnault patrono di Lmvh per il quale gestirà il settore dell’hotellerie di lusso. Con l’uscita di Guerra e il passaggio del testimone operativo al figlio di Farinetti, Nicola, tramonta per l’ennesima volta il sogno dello sbarco in Borsa. Annunciato a più riprese negli ultimi 2 anni non si è mai concretizzato, ed è difficile che possa accadere quest’anno. Un continuo rinvio che ha a che fare proprio con i conti del gruppo.
Non che manchi la spinta della crescita del fatturato: i ricavi sono aumentati a doppia cifra negli ultimi anni. Nel 2017 erano 470 milioni, saliti a 532 milioni nel 2018 e ora superano i 550 milioni. In fondo la strategia è quella di aprire negozi e store Eataly in tutto il mondo, forte del marchio di qualità dell’agroalimentare italiano. E ogni nuovo punto vendita porta ricavi aggiuntivi. Gli store con le insegne Eataly sono ormai 33 in tutto il mondo. Ma ovviamente ogni strategia di crescita sconta investimenti e un carico di costi aggiuntivi.
Il tema chiave, infatti che manca tuttora al gruppo per poter accedere alla Borsa non sono i ricavi, ma la redditività. Eataly si è stabilizzata con margini operativi lordi intorno al 4-5% dei ricavi. Tutto sommato in linea con una normale redditività del settore alimentare, mentre l’azienda si “vende” o vorrebbe vendersi come marchio del lusso del settore con un premio sulle normali valutazioni. E anche attribuendo valutazioni generose in virtù della forza del marchio, quella marginalità di poco più di 20 milioni porterebbe a un valore, debito compreso, nella migliore delle ipotesi di 400-500 milioni. Di fatto poco meno del fatturato. In ogni caso un valore decisamente inferiore alle attese di qualche anno fa. Giovanni Tamburi, con la sua Tamburi investment partners, entrò nel capitale di Eataly nel 2014 acquisendo il 20% per un valore di 120 milioni, che valorizzava il gruppo allora 600 milioni. Anni dopo, pur con ricavi in forte crescita, il valore che il mercato potrebbe attribuire oggi sarebbe comunque inferiore a quanto pagato 5 anni fa dal finanziere milanese. È questo il nodo gordiano di quell’Eataly che vorrebbe fare il grande balzo nell’empireo dei marchi del lusso gastronomico e finora non ha i numeri per farlo.
Fonti vicine al gruppo fanno invece notare che i numeri ci sono. Eataly avrebbe ricevuto valutazioni da banche d’affari che collocano il valore dell’intero gruppo tra 800 milioni e un miliardo, ma che la Borsa non è ritenuta un totem. Eataly è in grado di autofinanziare la crescita e sul mercato Usa il marchio è particolarmente apprezzato, tanto che i proprietari dei locali dove Eataly vorrebbe sbarcare nella costa Ovest degli Usa sono disposti a finanziare oltre la metà dei costi di apertura dei negozi. Sarà. Sta di fatto che qualche inciampo pur piccolo Eataly l’ha subito, e non solo per la perdita da 17 milioni nel 2018.
La società, visti i risultati non brillanti, ha dovuto svalutare a zero il valore della controllata Eataly Net (commercio online); così come ha portato a zero il valore di Eataly Romagna, la società che controllava il negozio di Forlì. E poi la chiusura a Copenaghen e la liquidazione di Eataly design e Eataly vin. Nel 2018 c’è stata la fusione inversa tra Eataly srl e Eataly distribuzione. Quanto alle partecipate a livello di capogruppo, la controllata di Stoccolma ha chiuso il 2018 con una perdita di 47 milioni di corone svedesi. Male nel 2018 anche la controllata tedesca che ha perso nel 2018, un milione di euro. Mentre è andata bene sia la consociata Usa che la partecipata Acque Minerali. Eataly si è anche sbarazzata della Scuola Holden venduta nel 2018 alla Feltrinelli. Quanto a Fico, il parco agroalimentare di Bologna aperto a fine 2017, il primo utile di 19 mila euro è già arrivato alla fine del 2018.
Come si vede un andamento delle varie società partecipate in giro per il mondo a macchia di leopardo. Con il mercato americano, che ormai porta più di 200 milioni di fatturato, a dare le maggiori soddisfazioni. A guardare da vicino le evoluzioni di Eataly, ci sono le banche creditrici. A livello consolidato, i debiti bancari ammontano a 96 milioni su 238 milioni di debiti complessivi. Con UniCredit la più esposta, soprattutto nel finanziare lo sviluppo sul mercato Usa. In cassa c’è liquidità disponibile per oltre 40 milioni. Fieno in cascina per ora ce n’è. Aspettando come Godot la tanto agognata Borsa oppure, chissà, nuovi investitori privati.