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 2020  febbraio 05 Mercoledì calendario

Intervista a Peppe Vessicchio

E alla fine l’hanno uscito. Al termine di una pluriennale campagna social — con l’hashtag spontaneo #escilo che ha spesso oscurato quelli alimentati dalle varie “bestie aziendali” — il maestro Beppe Vessicchio è tornato al Festival. E ha impugnato di nuovo la bacchetta per dirigere l’orchestra durante l’esibizione con Le Vibrazioni. Oggi però ha un po’ di influenza, quindi è stato costretto a restare chiuso nel suo albergo di Bordighera, l’Hotel Parigi. «Vengo sempre qui, è pieno di vecchietti che la mattina quando entro nella sala colazioni mi fanno l’applauso», sorride.
Maestro, come se la spiega questa sua strana popolarità?
«Stupisce anche me. Per quanto riguarda la rete credo che il segreto sia la mia assenza. Non ci sono. E questo mi rende neanche vagamente concorrenziale. La totale esclusione permette a tutti di volermi bene. Non partecipando non disturbo».
Sulla sua assenza sono circolate tante voci. L’hanno fatta fuori?
«Macché, non è stata una forma di esclusione voluta. È stata una cosa naturale. Oggi il ruolo del direttore d’orchestra è molto cambiato. È diventato una figura di importanza relativa, i musicisti hanno tutti le cuffie che emettono dei segnali di sincronismo, un metronomo: l’orchestra potrebbe fare benissimo da sola. Quella del direttore è una vetrina per coloro che hanno prodotto il brano. Io da tempo non partecipavo più ai processi di produzione quindi per me non aveva più molto senso».
E allora perché è tornato?
«Dopo aver ricevuto tanto affetto da parte della gente, avevo una sorta di "scrupolo del ritorno", mi chiedevo: a fare che? e in quale veste? Tornare tanto per tornare, no. Avevo bisogno di un motivo plausibile. È arrivato quando Francesco Sarcina delle Vibrazioni mi ha chiamato: "Perché non facciamo un tour insieme, con un’orchestra di giovani?". Io avevo da tempo in mente di fare qualcosa del genere. Nel nostro paese le orchestre le chiudono e invece c’èa bisogno di sognare esattamente al contrario. Mi sono detto, perché no? Facciamolo. E abbiamo cominciato a fare selezioni in tutt’Italia. Poi è saltata fuori l’idea di Sanremo che era la vetrina giusta per parlare di questo progetto».
Ed è tornato.
«Sì, è il 25esimo anno, le nozze d’argento. Sono molto felice».
Cosa pensa delle polemiche nate intorno ai testi di Junior Cally?
«Che si tratta di una forma di espressione artistica del disagio. Più che di quei testi, dovremmo preoccuparci di coloro che ne hanno bisogno. Da padre o da nonno, io farei volentieri da filtro — senza censura — e cercherei di spiegare ai miei figli o nipoti il fenomeno che stanno ascoltando sperando che questi possano farne un buon uso».
Ha ascoltato le altre canzoni?
«Non tutto. È un festival di grande varietà, adatto a un settantesimo. Ho ascoltato Achille Lauro. Devo dire che il brano segnala una sua evoluzione, è come se una volta ricevuto il consenso si sia accorto di non dover necessariamente ricorrere al dolore o all’emarginazione per far breccia. Si è come liberato».
I giornalisti criticano molto Elettra Lamborghini.
«Una volta ho sentito dire a Baudo che il Sanremo è una vetrina dove portare tutto quello che è possibile, anche se lontano. A lui dobbiamo Elio e le storie tese, e i Pitura Freska. In quella vetrina ci sta anche Elettra Lamborghini. Non è lei il problema».
E quale?
«La paga degli orchestrali. Vorrei lanciare la campagna "Adotta un violinista di Sanremo". Mi riferisco agli "aggiunti musicisti" che non appartengono all’orchestra sinfonica. Guadagnano 50 euro al giorno per dodici ore di lavoro. All’estero si metterebbero a ridere».