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 2020  febbraio 05 Mercoledì calendario

L’embargo in Libia sistematicamente violato

Tregua è una parola che in Libia ha poco valore, soprattutto negli ultimi tempi. E ne ha ancora meno quando flussi di armi e mercenari attraversano con cadenza quasi quotidiana le sue porose frontiere. Con buona pace di un embargo dell’Onu che tutti a parole hanno promesso di voler rispettare, ma che finora è rimasto solo sulla carta.
Ecco perché l’annuncio dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassan Salame, non ha creato molte illusioni. Dopo il vertice di lunedì tenutosi a Ginevra, dove si è riunita la commissione militare congiunta “5+5”, Salame ha dichiarato: «C’è un accordo per convertire la tregua in un cessate il fuoco duraturo».
Il generale Khalifa Haftar, il signore della Cirenaica che ha sferrato un attacco contro Tripoli, arrivando alle porte della capitale, e Fayez Serraj, il premier del Governo di accordo nazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite e sostenuto militarmente dalla Turchia, potrebbero presto sedersi allo stesso tavolo. «C’è una chiara e genuina volontà da parte di entrambi di negoziare insieme», ha precisato l’inviato dell’Onu. Ora le delegazioni si rivedranno per trovare il modo per implementare l’accordo.
Le buone notizie, tuttavia, finiscono qui. Lo stesso Salame non ha nascosto la sua preoccupazione. «Ci sono prove che nuovi mercenari e nuovi combattenti, oltre che nuove armi, arrivano in Libia via terra e via mare a favore di entrambe le parti», ha accusato, aggiungendo: «Abbiamo chiesto al Consiglio di sicurezza di adottare una risoluzione che accolga quanto emerso da Berlino per seguire da vicino la violazione dell’embargo sulle armi».
Insomma, la strada per una reale stabilizzazione è ancora tutta in salita. Lo conferma il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres: «Sono molto frustrato per quello che sta succedendo in Libia, è uno scandalo», ha detto ai giornalisti durante un incontro al Palazzo di Vetro. «Nessuno stop rilevante nelle violazioni dell’embargo. La tregua (di Berlino, ndr) viene violata in modo drammatico». D’altronde, guardando poi ai precedenti, ovvero agli accordi di tregua degli ultimi 12 mesi, c’è davvero poco da essere ottimisti. La tregua, siglata alla Conferenza di Berlino lo scorso 19 gennaio, non è durata che poche ore.
Serraj e Haftar, e tutti i loro sostenitori all’estero, sono ora chiamati alla prova dei fatti. Ma il contesto in cui si svolgono le trattative tra le delegazioni non è incoraggiante. Da quasi tre settimane, le milizie alleate di Haftar hanno chiuso quasi tutti i maggiori terminali per l’export petrolifero. Tanto che la produzione è crollata a poco più di 200mila barili al giorno. Si tratta del minimo dai tempi della guerra civile scoppiata nel 2011. In autunno, l’estrazione era salita sopra 1,2 milioni di barili al giorno (prima della rivolta il Paese ne produceva 1,6). Ma se il blocco dovesse protrarsi ancora, l’estrazione rischia di precipitare a 72mila barili al giorno, ha dichiarato alla Reuters un fonte interna alla compagnia petrolifera statale, la Noc. Sarebbe un disastro. Per tutti i libici.