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 2020  febbraio 04 Martedì calendario

Periscopio

Destra e sinistra si ritrovano nei sottopassi. Dino Basili. Uffa news.
La sua soddisfazione è la nostra gioia. Sulla parete di un bar.

Anche Dio canta Bellaciaooo. Titolo di prima pagina del Vernacoliere.

La tv tiene unite molte più coppie di quanto non facciano i bambini e la Chiesa. Charles Bukowski.

I vescovi comunisti che al Concilio avevano girato il celebrante verso la folla, spalle a Dio, non avevano capito niente (uno dei motti con cui il cardinale amava scandalizzare le anime buone era che «i poveri hanno rotto i coglioni»). Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori, 2019.

Al centrodestra occorre una classe dirigente che non sia limitata a Salvini e alla Meloni, anche per eludere l’attacco ad personam che da sempre è una specialità della sinistra. Antonio Socci. Libero.

Dopo aver perso le elezioni politiche, le europee e una decina di elezioni regionali nel giorno in cui perde anche la Calabria, il Pd canta vittoria perché mantiene il governo nell’Emilia-Romagna grazie a un sistema di potere ancora vetero-Pci che domina sulla società e che a Bologna si salda con la borghesia radical-chic e quella catto-prodiana. Contenti loro… Antonio Socci. Libero.

Come se fosse punto dall’insetto del sonno, il governo Conte II è moscio. Si limita a dirci cosa pensa di sé, provando a giustificare la sua presenza tra noi. Proclama di essere il migliore dei governi possibili e che mandarlo a casa sarebbe un fatale errore. Matteo Salvini è infatti pericoloso. Non lo vogliono a Davos perché fa salire lo spread, papa Francesco rifiuta di riceverlo, l’inquilino del Quirinale lo detesta perché è della fazione opposta. Infine, dobbiamo sentirci fieri di appartenere all’Ue e gioiosi di accogliere immigrati. Concluso il sopraesposto pistolotto, Conte e i suoi ripiombano nel nulla. Giancarlo Perna. LaVerità.

La Dc si diede da fare per spaccare la Liga Veneta. Ad esempio, nel ristorante della Camera trovai il nostro deputato Achille Tramarin a tavola con Tina Anselmi. Chiesi in tono scherzoso: quale dei due sta corrompendo l’altro? La democristiana, da politica navigata, sorrise. L’altro arrossì. Ero stato suo testimone di nozze e la moglie era parente della Anselmi. Trascorsi tre mesi, Tramarin convocò un congresso fasullo della Liga Veneta. Accorse persino la Rai. L’accerchiamento si perfezionò alle Europee del 1989, quando Bossi, nel frattempo diventato senatore, cambiò all’ultimo momento il simbolo elettorale con Alberto da Giussano, rimpicciolendo il nostro leone sino a farlo scomparire. In pratica fu come se non ci fossimo presentati. Lui ottenne due europarlamentari, noi neanche uno. Franco Rocchetta, ex leader della Lega (Stefano Lorenzetto). Corsera.

Mi viene in mente Einstein, il grande turbatore con le sue teorie sull’inizio e sulla fine. Einstein crede in un Dio-Natura, alla Spinoza. Io ho bisogno di un Dio-Persona, perché ho sete di giustizia. Sia per punire che per premiare. Ferdinando Camon, scrittore (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Enrico Albertosi, detto Ricky, sabato compie 80 anni. Ha regalato alla Fiorentina la Coppa delle Coppe, al Cagliari il suo unico scudetto, al Milan quello della stella e in Nazionale ha preso le uova in faccia dopo la Corea, è stato il portiere dell’iconica Italia-Germania 4-3 durante il Mondiale in Messico nel ’70 e campione d’Europa nel ’68: «Quella volta sono rimasto in panchina dietro Zoff solo perché mi ero rotto un dito», tiene a precisare con la voce squillante dal buen ritiro di Forte dei Marmi, dove si gode la pensione e la famiglia e ripensa a quello che è stato. Una vita controvento. Sempre fuori dai pali e a volte qualche uscita l’ha sbagliata: «Ma rifarei tutto», dicono con puntiglio il portiere e l’uomo che non si sono negati niente: donne, cavalli, partite (532 in serie A), rivalità accese. Estroverso e spregiudicato, ha vissuto a mille all’ora. Solo un infarto, parecchi anni fa, ha rischiato di metterlo fuorigioco. Da quel giorno ha cambiato stile: meno stress e meno eccessi. «E mica è stato facile». Enrico Albertosi, ex portiere di calcio (Alessandro Bocci). Corsera.

Il made in Italy è celebre in tutto il mondo, ma in Italia stentano a crearsi grandi gruppi. Perché da noi non ci sono equivalenti dei francesi Lvmh o Kering, che anzi fanno collezione di marchi anche in Italia? La risposta è semplice, perché noi siamo industriali e non finanzieri. È il nostro modo di essere imprenditori: se io devo aprire un negozio a Chennai, in Cina, prima mi sento con Della Valle e Loro Piana, chiedo informazioni e consigli. È il nostro modo di fare sistema; poi la mattina, io ho la mia azienda e tu la tua. Ma non si può dire che noi non facciamo sistema: è proprio per questi legami che le nostre imprese sono di successo e innovatrici. Brunello Cucinelli, impresario della moda (Francesco Manacorda). la Repubblica.

Gli anni 60 sono stati un momento bellissimo. Roma è diventata più grande, è nata l’Olimpica, il Villaggio Olimpico. A proposito di Olimpiadi mi piace ricordare le prime del Dopoguerra. Ci invitarono, nazione sconfitta, e il nostro inno nazionale era poco conosciuto. Quando vinse Consolini, il lanciatore del disco, non trovarono il disco e lui sul podio, sotto la pioggia, iniziò a cantare O sole mio. Il pubblico inglese rispose in coro «sta in fronte a te». L’Italia... Bellissimo, così siamo noi. Pippo Baudo, presentatore tv (Walter Veltroni). 7.

Forse era un sabato magico. Ma l’aereo, previsto per le otto e trenta, effettivamente alle otto e trenta si alzava dalla pista. Così salutai le guglie del Duomo di Milano e in un amen (il tempo che uno solitamente impiega per leggere il giornale) eccomi sotto il naso il Vesuvio. San Gennaro quel giorno vigilava. Scaricarono le valigie con meticolosità nipponica, in nemmeno tre minuti. Al lato arrivi c’era già la macchina con il collega fotoreporter a motore acceso. Roba da darsi pizzicotti e dirsi: «Svegliati ormai è ora di andare a Torre Annunziata». Ci andavamo, e mancavo da quei posti più o meno da vent’anni. Ci tengo a ricordarlo: Tortora è un cognome napoletano. Arrivando in quella luce e tra quei pini qualcosa, che scende da mio padre, mi suona sempre dentro, con dolcezza. Non c’è niente da fare. Enzo Tortora, Arrivo sabato per colazione. Stop, TV Radiocorriere, 27 gennaio 1980.

Da lontano giunge l’angoscia bitonale di un’ambulanza, ma nessun automobilista si ferma o si fa da parte anche perché non si capisce da che parte arrivi e dove sia diretta. Guglielmo Zucconi, Il cherubino. Camunia, 1991.

Non hanno più niente da dirsi. Negli occhi di entrambi si legge il vuoto. Roberto Gervaso. Il Giornale.