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 2020  febbraio 04 Martedì calendario

Il carbone e la neve, una miniera italiana in Siberia

NOVOKUZNETSK La miniera è a cielo aperto, e il cielo da giorni le rovescia addosso neve. Il mondo è in bianco e nero, se non fosse per le ruspe gialle che afferrano i mucchi di carbone e li scaricano sui camion in attesa nella cava; e non si lasciano spaventare dal tempo, malgrado si stia scendendo verso i 30 gradi sotto zero. «I periodi migliori dell’anno – osserva Giovanni Marchelli, chief executive officer di Coeclerici Commodities – sono quando tutto è ghiacciato, oppure d’estate quando è secco. Meglio sono tenute le strade, più alta è la produttività. Si riduce il consumo delle gomme, i camion slittano meno e fanno meno ritardi».
La manutenzione è a carico dei proprietari, parte degli impegni che fanno di questo luogo un investimento particolare perché il sito di Korchakol, nella regione siberiana del Kuzbass, è al 100% dell’italiana Coeclerici. La prima azienda occidentale ad acquistare una miniera di carbone in Russia. L’unica, dopo i suoi primi 11 anni, ben determinata a restare.
Con un passato iniziato nel 1895, legato alla Scozia e soprattutto a Genova, una lunga esperienza nello shipping e nella logistica, negli ultimi tempi il gruppo Coeclerici è tornato alle origini per concentrarsi sull’estrazione e sul trading di carbone di qualità per l’industria siderurgica, oltre a essere entrato nella meccanica con IMS Technologies. Erede della dinastia di trader e armatori, Paolo Clerici osserva la sua cava avvolta di bianco: «L’idea di acquistare questa miniera – racconta il presidente e amministratore delegato di Coeclerici – è nata perché la nostra azienda è da sempre coinvolta nel commercio del carbone. Eravamo agenti delle principali società minerarie al mondo, che poco per volta però hanno iniziato ad andare direttamente dai clienti: ci veniva a mancare il prodotto. Noi avevamo iniziato a lavorare in Russia alla fine degli anni 60, dunque il posto più logico in cui cercare di comprare dei giacimenti minerari era questo».
Dopo diversi anni di ricerche, continua Clerici, «nel 2008 abbiamo trovato questa miniera. Allora era molto più piccola, produceva poco più di 300mila tonnellate. Oggi siamo quasi a sei volte tanto: quest’anno arriveremo a un milione e 700mila tonnellate. Siamo molto soddisfatti: per i prossimi cinque anni il programma è raddoppiare la produzione». Lasciando aperta la possibilità di acquisire altre miniere: «Vogliamo investire almeno 100 milioni di dollari in tre anni – aggiunge il presidente di Coeclerici – per arrivare a produrre tre milioni di tonnellate l’anno. Non escludiamo l’acquisizione di nuove licenze, per aumentare le riserve attuali che oggi sono pari a 100 milioni di tonnellate. Investiamo in questa miniera circa 10 milioni l’anno».
Novokuznetsk, Siberia
A pochi chilometri da Korchakol, la città di Novokuznetsk è legata a filo doppio alle sorti del carbone: l’andamento dei mercati, spiegano gli abitanti, si ripercuote immediatamente sui prezzi delle case e sul costo della vita, sulle risorse da dedicare ai parchi o ai trasporti pubblici. La Russia, sesto produttore e terzo esportatore al mondo, non è immune al rallentamento globale e alla domanda di materie prime, né è estranea alla lotta al cambiamento climatico che punta il dito sulle emissioni di carbonio. Ma qui, nel Kuzbass, la più importante area carbonifera della Russia, il carbone ha due volti.
Quello degli impianti di fabbricazione sovietica: «Abbiamo ereditato una situazione ecologica complessa», dice il governatore Serghej Tsivilev. In alcune località, nel febbraio scorso, la comparsa di neve annerita dalla polvere di carbone ha scatenato la protesta dei residenti: «È questo il colore della neve all’inferno?», scrivevano sui social networks. Ma le statistiche sul legame tra inquinamento e salute degli abitanti, che chiedono maggiore protezione, s’intrecciano a quelle sui posti di lavoro legati all’industria del carbone. «Qui l’aria è inquinata, non c’è abbastanza attenzione all’ambiente, non ci sono protezioni e ci ammaliamo – sospira Alina, residente a Novokuznetsk -. Però tutti sperano di trovare lavoro in miniera, dove gli stipendi sono più alti». «Il carbone – ripetono le guide del museo di Kemerovo, la capitale regionale – è la nostra linfa vitale, cui dobbiamo quello che siamo ora». Una risorsa scoperta per caso: gli esploratori inviati in Siberia da Pietro il Grande in realtà cercavano oro. Ma uno di loro, Michailo Volkov, mentre navigava sul fiume Tom fu colpito da «una collina rossa che bruciava». Era il 1721, la data di nascita dell’era del carbone siberiano.
«Il Kuzbass vive di questo – riflette Andrea Clavarino, vicepresidente esecutivo del gruppo – del settore carbonifero e di tutto l’indotto». Non vi preoccupa il declino del carbone sui mercati mondiali, la lotta globale alle emissioni di CO2? «No – risponde Clavarino – perché noi lavoriamo nel settore tra virgolette “buono”, quello del carbone metallurgico usato per produrre acciaio, non energia elettrica. La siderurgia e la chimica continueranno ad avere bisogno di carbone, e di buona qualità: per i prossimi 30 anni non ci saranno tecnologie alternative. Il nostro probabilmente è della qualità migliore, meglio di quello australiano e americano». Un carbone a basse impurità e volatilità, spiegano i dirigenti di Coeclerici, utilizzato negli altiforni che richiedono un carbone di qualità PCI con pochissime ceneri, e un più alto potere calorifico. «Finché compreremo elettrodomestici, automobili e pentole, e costruiremo ferrovie e aerei – osserva Paolo Clerici – avremo bisogno di carbone».
Destinazione Murmansk
Oltre alla miniera,il gruppo di Paolo Clerici ha acquisito anche il sistema di trasporto ferroviario e l’utilizzo esclusivo di un punto d’imbarco nel porto di Murmansk, base della Flotta russa del Nord perché le sue acque, se pure al di sopra del Circolo polare artico, non ghiacciano mai. Così il porto è operativo 12 mesi l’anno. «Quando siamo arrivati a Murmansk – spiega Giovanni Marchelli – non c’era nessuno. Prima eravamo a San Pietroburgo, dove facevano capo tantissimi altri produttori: quando arrivava il carbone non sapevi mai se era il tuo o di un altro». Mentre a Murmansk, vicino al porto dei sommergibili nucleari, c’era solo un operatore: «Abbiamo preso le due banchine più grandi e dragato i fondali per portare navi più grosse, abbiamo firmato un contratto a lungo termine con il porto. Soprattutto, non abbiamo dato fastidio a nessuno, e abbiamo fatto qualcosa di diverso». Rispettando una delle regole non scritte per gli imprenditori stranieri in Russia: offrire competenze nuove e specifiche, e nello stesso tempo non “strafare”. Restare nella propria dimensione.
Da quando Coeclerici ha acquistato la miniera, la produzione ha continuato ad aumentare. «Questa – dice Marchelli – è una scelta imprenditoriale di lungo termine. Il “touch and go” non funziona. Se vieni, devi fare un piano di almeno “x” anni. Anche per questo facciamo contratti lunghi con le acciaierie». «In dieci anni – è il bilancio del vicepresidente Andrea Clavarino – abbiamo investito 150 milioni di dollari in attrezzature, migliorie per aumentare la produzione, sicurezza e sostenibilità ambientale. Il nostro obiettivo è continuare a crescere».
Il gruppo Coeclerici sta così considerando un altro investimento importante: «Destinare 30 milioni di dollari – spiega Paolo Clerici – per un impianto di lavaggio che renda ancor più pulito il carbone, più apprezzato nelle acciaierie e nel settore chimico.I lavori inizieranno quest’anno, ci vorranno un paio d’anni per entrare in attività. Stiamo creando maggior valore nelle attività in Russia». «All’inizio – aggiunge Clavarino – contavamo su 14 milioni di tonnellate di riserve, oggi siamo a 100 che supereranno i 110-120 milioni con nuovi acquisti, una produzione ancora per 30 anni. Diversi gruppi industriali hanno comprato e poi se ne sono andati. Noi siamo stati i primi stranieri a comprare, e gli unici a essere rimasti».
In dieci anni, la forza lavoro a Korchakol è passata da 300 a 750 persone, quasi tutti provenienti dal Kuzbass. Nell’edificio dell’amministrazione c’è un mosaico coloratissimo, ereditato dai tempi sovietici: un ragazzo sorridente, elmetto e bandiera rossa alle spalle, “Il minatore felice”. Si trova nella parte ancora non ristrutturata degli uffici, Paolo Clerici è più interessato a ispezionare quella già rinnovata: «Le persone – dice – devono stare bene».