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 2020  febbraio 04 Martedì calendario

Intervista al virologo Lopalco

Prendete gli ultimi dati sui contagi da coronavirus, moltiplicateli per 10 e avrete un’approssimazione di ciò che sta avvenendo in Cina: 150 mila casi. Ma, per quanto contraddittorio possa sembrare, è assurdo farsi prendere dalla psicosi. I numeri possiedono logiche sotterranee che spesso ci sfuggono.
Pier Luigi Lopalco è professore di Igiene all’Università di Pisa ed è uno specialista in tema di virus ed epidemiologia. È stato, tra l’altro, a capo del Programma per le malattie prevenibili da vaccinazione al prestigioso European Centre for Disease Prevention and Control, a Stoccolma, ed è autore di oltre 120 articoli scientifici. È la persona giusta per guidarci nel labirinto delle cifre.
Professore, quanto è grave l’emergenza in Cina? Dove sta la verità?
«Ci sono molte cifre disponibili, con gradi diversi di attendibilità. Il numero delle vittime, prima di tutto. Si tratta di chi è morto in ospedale, ma ci sono anche i casi di chi è deceduto a casa e tutti quelli non denunciati. Secondo: ci sono i casi gravi di chi è stato ricoverato, ma siamo sicuri che siano soltanto quelli? L’ospedale di Wuhan è saturo e infatti ne sono stati costruiti altri due. Terzo: ci sono le forme più lievi, che sfuggono a qualunque conteggio. Ecco perché è ragionevole affidarci alle simulazioni attraverso i modelli matematici».
Che cosa rivelano i modelli?
«Che è presumibile dover moltiplicare per 10 i dati ufficiali dell’Oms. Con il coronavirus siamo di fronte a una malattia nuova e non è noto quanti kit di laboratorio per la sua identificazione siano disponibili in Cina. Questo numero, insieme con la limitata disponibilità dei letti negli ospedali, rappresenta una delle variabili che fanno salire il conteggio dei possibili contagi a 150 mila. Alla base dei calcoli esiste, perciò, un’incertezza tecnica, non politica».
Su che dati lavorano i ricercatori di tutto il mondo?
«Sul numero presunto dei 150 mila».
La gestione dell’emergenza da parte del regime è da promuovere o bocciare?
«Dopo i ritardi iniziali da parte di Pechino, ora l’Oms si dichiara confidente che non si stia nascondendo nulla: d’altra parte mettere in quarantena un’area così vasta come quella di Wuhan è un’iniziativa senza precedenti».
Un altro numero che ha seminato la paura è il 2% di mortalità: è alto o basso? Ed è corretto?
«Sarebbe più corretto parlare di letalità. Ora è il 2%, vale a dire due vittime ogni 100 contagiati, ma, se allarghiamo la base di 10, dovremmo scendere allo 0,2%, senza però tenere conto di tutti coloro che muoiono a casa e non vengono registrati».
E quindi quanto è letale il coronavirus?
«Al momento sappiamo che la letalità è una via di mezzo tra la Sars e l’influenza H1N1 del 2009».
Tra psicosi e sottovalutazione qual è l’atteggiamento che deve avere l’opinione pubblica?
«La psicosi dimostra come il nostro cervello non processi in modo razionale ciò che riguarda le infezioni. D’altra parte è sbagliato ricorrere al paternalismo e trattare i cittadini come bambini stupidi. Gli scienziati devono spiegare il rischio e i problemi».
L’epidemia è a un passo dal diventare pandemia?
«L’epidemia è confinata in Cina e in alcuni Paesi limitrofi e quindi non si può parlare di pandemia. È fondamentale che l’Oms e i sistemi sanitari nazionali continuino nello sforzo di identificare tutti i casi e le loro storie: è il "contact tracing"».