la Repubblica, 4 febbraio 2020
I corsi che aiutano a ragionare in tempi di fake news
Non ragioniamo sempre correttamente, inciampiamo in errori che ci portano a credere, per esempio, che se uno straniero ruba allora tutti gli stranieri sono ladri. Tecnicamente, quello che certa politica cavalca colpendo alla pancia, si chiama generalizzazione indebita. Fallacie del pensiero sempre più diffuse. Ma anche, ci ha appena ricordato l’ultimo rapporto Ocse-Pisa, l’esistenza di un problema serio di comprensione: solo un quindicenne su venti sa distinguere tra fatti e opinioni quando legge un testo a lui non familiare. Anche per questo l’università corre ai ripari. Il senato accademico dell’ateneo di Bologna ha deliberato l’avvio di due corsi, offerti dal prossimo anno agli studenti di tutte le facoltà, in Critical Thinking e in Dialogical Literacy.
Danno sei crediti e sono trasversali alle discipline. Il motivo? Abituare gli studenti ad argomentare servendosi di buone ragioni e a confrontarsi senza attaccare l’avversario sul piano personale, tecnica assai diffusa nelle tribune politiche, ma semmai le sue argomentazioni.
«La nostra comprensione del mondo è plasmata dalle informazioni che acquisiamo. Non c’è modo di aggirare il problema delle fake news, lo devi affrontare. In questo aiuta il pensiero critico, che è cruciale per comprendere pienamente la condizione umana. Un ruolo che l’università deve assumere: fornire agli studenti gli strumenti per capire la realtà e per relazionarsi ad essa» spiega Sebastiano Moruzzi, professore di Filosofia del linguaggio e ideatore del progetto all’Alma Mater. Insomma, essere in grado di sapere quello che fai quando ragioni aiuta a ragionare bene. Un’emergenza particolarmente sentita rispetto alle bufale anti-scientifiche, dai no-vax ai terrapiattisti, e all’irrazionalità di massa moltiplicate tramite i social. Per evitare falli del pensiero, si studierà Socrate e il dialogo nel web, si terranno laboratori a partire da film e opere d’arte, si discuterà di deduzioni errate o di generalizzazioni. Un esempio? Quando si giunge ad una conclusione da una statistica che usa un campione non valido: tutte le persone che conosco qui a Manhattan voteranno per Hillary Clinton, quindi lei vincerà le elezioni presidenziali. E ancora, si affronteranno dilemmi morali. Quello noto del “carrello ferroviario": i suoi freni sono fuori controllo e si sta dirigendo a tutta velocità verso un gruppo di cinque persone legate alle rotaie; c’è però una possibile scelta che il macchinista può fare, cioè deviare verso un altro binario dove c’è solo una persona legata. Domanda: cosa fareste al suo posto? Cosa è giusto fare? Come in una palestra, si allena il pensiero.
Una novità nel panorama accademico italiano, mentre corsi in Critical Thinking sono molto diffusi nelle università americane e anglosassoni. Da noi, oltre ai seminari della Bocconi e della Luiss, l’unico insegnamento già avviato da alcuni anni è alla Statale di Milano, tenuto da un filosofo della scienza, Federico Boem, ma solo per gli studenti della magistrale in Scienze cognitive e processi decisionali: «L’intento è cercare di rendere gli studenti critici anche nei confronti della stessa disciplina che studiano, di non accettare i contenuti in modo dogmatico». Boem si occupa in particolare dell’impatto dei big data nella ricerca scientifica. «Noi filosofi lamentiamo da anni la mancata sensibilità su questi temi. Quello di Bologna è un bel segnale: il pensiero critico è il principale antidoto contro il dogmatismo o lo scetticismo radicale. Serve ai ragazzi, servirebbe a tutti. La mancanza di pensiero critico tra l’altro fa più paura in persone con un alto livello di istruzione». La sfida del professor Moruzzi e dal suo gruppo di Filosofia è lanciata. «Finalmente – commenta Paolo Miccoli, ex presidente dell’Anvur – le università si pongono di fronte alla precisa responsabilità di formare dei cittadini consapevoli e non dei semplici studenti».