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 2020  febbraio 03 Lunedì calendario

Omicidio stradale, la legge non basta

Centro di Roma, notte fra il 21 e il 22 dicembre 2019. Il suv guidato da Pietro Genovese, 20 anni, falcia Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli, 16 anni. Entrambe perdono la vita. Le prime indagini raccontano che il ragazzo ha bevuto oltre la soglia massima di tolleranza, per i neo patentati pari allo zero per cento, e che ha superato il limite di velocità. Dicono anche che le due vittime hanno probabilmente attraversato con il rosso, nonostante il buio e la pioggia battente. Passano pochi giorni e, nella notte del 4 gennaio, un’auto centra un gruppo di turisti tedeschi fermi a bordo strada a Lutago, in Alto Adige. Alla guida un giovane di 28 anni, ancora una volta troppo veloce. E ubriaco, secondo quanto rilevato dai primi test. Il bilancio è di sette morti e dieci feriti. Tutti fra 20 e 25 anni. 
Sono solo gli ultimi casi di cronaca. Che hanno riportato in cima all’agenda pubblica il dibattito sulla sicurezza stradale e su quanto la legge entrata in vigore il 25 marzo 2016, esattamente quattro anni fa, sia davvero servita. La norma, contenuta nell’articolo 589 bis del Codice penale, ha riconosciuto per la prima volta il reato di omicidio stradale, introducendo pene molto più severe rispetto al passato. Chi provoca la morte di qualcuno, a causa di comportamenti imprudenti, mentre è alla guida di un mezzo, rischia oggi la reclusione da 8 a 12 anni, se è in stato di ebbrezza causata da alcol o sostanze stupefacenti. Se poi fugge, va incontro a conseguenze ancora più severe. 
NESSUNA SVOLTA 
Gli ultimi dati mostrano sì una diminuzione, ma tutto sommato piccola. Troppo esigua per pensare che la norma, da sola, possa essere sufficiente a cambiare il bilancio, ancora pesante, della situazione. Se nel 2015 si erano verificati 174.539 incidenti, dei quali 3.428 mortali, tre anni dopo il numero è sceso a 172.553, con 3.086 decessi. La flessione c’è, ma l’insieme degli indicatori porta gli esperti a pensare che l’introduzione del nuovo reato non sia stata decisiva e che sul bilancio di sangue pesino una serie di fattori complessi. La tendenza per il 2019 (i dati consuntivi non sono ancora disponibili) conferma il quadro. Nei primi sei mesi, secondo Istat e Aci, si sono registrati 82.048 incidenti, dei quali 1.505 mortali. La media è di nove morti al giorno, mentre i sinistri sono aumentati addirittura del 25% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le cause più frequenti? Mancato uso delle cinture di sicurezza, utilizzo del cellulare, consumo di alcol e droghe. E così resta lontano l’obiettivo indicato dall’Unione europea (raggiunto in altri Paesi): dimezzare i morti sulle strade entro la fine di quest’anno. Per arrivare al totale azzeramento entro il 2050. 
«A quattro anni dall’entrata in vigore della legge possiamo dire che non è stata inutile, ma da sola non basta spiega Giuseppina Cassaniti, presidente dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada -. La norma ha contribuito a diffondere una maggior consapevolezza sul fatto che occorre più attenzione quando si guida, ha riconosciuto la piena responsabilità di chi causa un danno. Dà quindi più valore al reato e alle sue conseguenze, ma se non viene applicata in modo corretto non rende pienamente giustizia alle vittime. Ci sono magistrati che tendono ancora a favorire gli imputati, mentre bisognerebbe cambiare cultura e riconoscere ai colpevoli la pena congrua. Non quella minima». I problemi non si fermano qui. «Se non cambia l’atteggiamento di chi si mette alla guida è impossibile evitare le continue stragi prosegue la Cassaniti-. Si continua a sottovalutare i pericoli della strada, per questo bisognerebbe innanzi tutto formare meglio chi prende la patente. In questo senso la liberalizzazione delle scuole guida del 2007 è stata molto negativa: ha creato una vera e propria corsa ad accaparrarsi i clienti. E poi bisognerebbe informare in modo più sistematico i ragazzi, a partire dalle scuole». 
Un altro tema aperto è quello dei controlli. «Adesso più che mai sono necessari strumenti tecnologici, come gli autovelox o i dispositivi che da remoto verificano il rispetto delle precedenze dice Giandomenico Protospataro, vice questore della polizia stradale -. Oggi questi ultimi non sono previsti dalla legge, ma sono di fondamentale importanza. Come i rilevatori da remoto sulla precedenza dei pedoni». Dove le verifiche sono più serrate la sicurezza è aumentata. «Grazie ai tutor gli incidenti in autostrada sono diminuiti del 60% prosegue Protospataro-. In città il pericolo maggiore non è la velocità, sono le mancate precedenze e l’assenza di rispetto nei confronti dei pedoni. È su questi punti che occorre concentrare gli sforzi. Inoltre si beve ancora troppo. Si pensa ancora che mettendosi al volante si riuscirà a controllare la situazione, ma non è così» 
L’EFFETTO ETILOMETRO
Resta comunque un dato positivo: «Dal 2001 i morti sulle strade sono dimezzati, anche e soprattutto grazie ai controlli con l’etilometro introdotti nel 1998 conclude Protospataro-. Ora occorre continuare ad agire sui comportamenti e quella delle nuove tecnologie potrebbe essere la via giusta». Un altro elemento considerato positivo è la cultura che si sta diffondendo tra i giovani. «Tra i ragazzi è più frequente l’abitudine a individuare un amico sobrio che porti tutti a casa dice Rita Ciceri, direttrice dell’Unità di ricerca sulla psicologia del traffico dell’Università Cattolica di Milano -. Le statistiche però ci dicono che la maggior parte degli incidenti non è causata da alcol e droga. Il killer numero uno è la distrazione, ed è soprattutto su questo che bisogna lavorare». 
Accanto alla legge, ai controlli, alla repressione occorre insomma insegnare ai cittadini come riconoscere il rischio. E come non sottovalutarlo. «Ci sono Paesi in Europa nei quali il test per la patente viene effettuato anche attraverso video nei quali bisogna indicare tutti i rischi presenti. Poi le persone vengono messe alla guida e a quel punto, nella situazione concreta, viene chiesto loro quali pericoli vedono prosegue la docente -. Si tratta di un metodo molto efficace, perché quando un soggetto entra personalmente a contatto con un rischio specifico, difficilmente incorre di nuovo nella stessa situazione. Insomma, se la legge non funziona come dovrebbe non è colpa di chi l’ha scritta. Ma del fatto che a causare gli incidenti sono fattori che hanno molto a che fare con educazione e cultura. Ma anche con le infrastrutture del nostro Paese. 
DIETRO AI NUMERI
«Fra il 2015 e il 2018 gli incidenti stradali sono diminuiti in tutta Europa. Nel 2019 hanno ricominciato ad aumentare. La flessione dei sinistri è coincisa con la crisi economica. Con la ripresa, sono cresciuti di nuovo i viaggi in auto. E di conseguenza anche i pericoli». Ad assicurarlo è Carlo Polidori, presidente dell’Associazione italiana di professionisti per la sicurezza stradale, nonché ispettore incaricato dal Mise per le ispezioni sulla rete autostradale. «Nel nostro Paese la maggior parte dei problemi è causata dall’uso del cellulare quando si guida, dai sorpassi azzardati o dall’abitudine di guidare senza motivo sulla corsia centrale in autostrada, che spinge gli altri automobilisti a superare a destra prosegue -. Ma la colpa è anche di infrastrutture ormai vecchie, visto che la gran parte è stata realizzata negli anni Sessanta. Quasi tutte hanno bisogno di investimenti e manutenzione». Quelle più rischiose non sono le autostrade, come le cronache più recenti potrebbero far pensare. «La rete italiana è relativamente sicura dice Polidori -. I veri pericoli sono nascosti sulle strade statali. E ancora di più su quelle provinciali e comunali». 
Ci sono le buche, che soprattutto in città mettono a repentaglio l’incolumità dei motociclisti. Ma anche i guard rail in pessimo stato, i ponti pieni di crepe, le corsie di emergenza non adeguate, l’illuminazione insufficiente, l’assenza di asfalto drenante, i cartelli stradali illeggibili. 
Una possibile svolta è attesa per il 2022. Entro la fine di quell’anno diventeranno obbligatori nei Paesi dell’Ue sia i cosiddetti Adas sistemi di assistenza alla guida sia le scatole nere a bordo delle autovetture. Tecnologie in grado di aumentare sicurezza e controlli. Prima, però, occorre cambiare mentalità. E capire che un’automobile non è solo un mezzo per spostarsi velocemente da un luogo a un altro. È anche un’arma potenziale, uno strumento che se non usato correttamente può spezzare per sempre una vita.