La Stampa, 3 febbraio 2020
Il Festival di Sanremo visto da Vasco Rossi
Nel volumetto in vendita domani con La Stampa per festeggiare i 70 anni del Festival di Sanremo, la lunga intervista a Vasco Rossi non solo incornicia e dà luce alle cronache degli Ottanta, ma rappresenta uno dei più franchi e lucidi racconti fra le migliaia che gli sono stati strappati durante decenni di popolarità in continua ascesa. Le sue parole sono come confessioni a cuore aperto: si snodano dal 1982/83, i due anni in cui, chiuso nella sua giacca di pelle, comparve al mondo che guardava Sanremo e con la presenza irrequieta, fisica e musicale, annunciò che anche lì, sul palco dell’Ariston, «The Times they Are a-Chancing», i tempi stanno cambiando, come aveva cantato Bob Dylan (ma 20 anni prima, negli Usa).
Non tutti vollero accorgersi, di quel Vate di Zocca con gli occhi febbrili, e relegarono infatti nell’83 al penultimo posto Vita Spericolata, una delle canzoni più significative degli ultimi quarant’anni. Il Festival, si sa, non ha mai beccato un successo di quelli che gli nascevano in seno, se non Volare. «La prima volta ero più rabbioso che timido. In realtà ero lì per colpire chi guardava il Festival e volevo rimanere impresso - nel bene e nel male - a tutti», ha scritto il rocker di suo pugno, rispondendo alle domande mandate per mail. Una scelta che si è rivelata preziosa.
Lo guardavano storto, allora. E ne scrivevano stortissimo: soprattutto i giornalisti più conservatori, come Nantas Salvalaggio; e con lui Vasco ingaggiò un autentico duello a distanza, in Vado al massimo non scrivendone però neanche il nome: «Aveva insultato la mia persona come mai avevo visto fare nei confronti di nessun altro artista. Forse perché non ero nessuno pensava di farla franca!», ricorda ora. Non è che con i colleghi, all’epoca, andasse meglio. Le capitò di ascoltare le canzoni degli altri, quella prima volta? «Non ero decisamente interessato. Ricordo che dietro le quinte vedevo tutti questi cantanti, per la prima volta da vicino, che si preoccupavano di com’erano vestiti. Io me la ridevo e mi sentivo del tutto estraneo ai loro problemi. Avevo le idee molto chiare. Pensavano che io fossi matto, ma secondo me erano più matti loro. Ricordo ancora quando passai incantato davanti a Romina prima di salire sul palco e lei mi guardò come si guarda uno scarafaggio».
La vita gira, e l’estate 2019 a Vasco è successo di essere invitato dalla Rai ad assumere la direzione artistica del Festival. E’ lui stesso a rivelarlo, e aggiunge: «Per un attimo ho pensato di fare come Baglioni: accettare di fare Sanremo per consacrare me stesso e le mie canzoni. Farle cantare a tutti, ai superospiti ma anche ai concorrenti. Un duetto qua, un duetto là... Sigla iniziale e finale sempre una mia canzone. Per tutte le sei serate tv. Wow! Poi ho pensato che io non ho bisogno di tanta promozione. Però, un bel conflitto di interessi, non le pare?». Viene quasi in mente il «dissing» della tradizione rap, che consisteva nel cantarle sonore a un collega per cui non si prova rispetto. Questo è il Vasco 2020, sempre lo stesso (in fondo) dei primi anni sanremesi, anche se è diventato l’uomo dei record. Le capita un momento di nostalgia per la gioventù? «Scherza? La gioventù è una condizione straordinaria... non si può non averne nostalgia».