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 2020  febbraio 03 Lunedì calendario

La Greta-Economy rende di più

Investire facendo del bene all’ambiente e alla società sta diventando il nuovo imperativo dell’industria del risparmio gestito. L’ultima svolta è giunta da uno dei più grandi fondi del mondo, Blackrock. Il suo numero uno, Larry Fink, in una lettera indirizzata ai suoi investitori, ha posto la sostenibilità, specialmente quella ambientale, come «nuovo standard di investimento». È la certificazione di una tendenza in atto da tempo anche da parte degli stessi clienti: la richiesta di prodotti di investimento che rispettino i principi di sostenibilità sta aumentando. Di più: è un boom. 
Per dirla con Bank of America Merrill Lynch, «uno tsunami di prodotti è pronto a investire in "buone" azioni». Tre categorie, in particolare, secondo le ricerche, guidano le legioni di nuovi investitori sensibili ai princìpi di sostenibilità che hanno catalizzato anche l’ultima edizione del World economic forum di Davos: donne, millennials e quelli che nelle eleganti banche del centro chiamano «high net worth individuals», i Paperoni che hanno per lo meno un milione di dollari da investire. 
Consapevolezza crescente
«Secondo le nostre stime – dicono da Bank of America – nei prossimi due decenni, l’ulteriore crescita degli attivi nei fondi sostenibili sarà di 20 mila miliardi di dollari, l’equivalente della dimensione odierna dell’S&P 500», il principale listino azionario americano. L’Italia non fa difetto in questa corsa alle "buone" azioni. 
«I prodotti di investimento sostenibili, infatti, stanno crescendo con tassi a doppia cifra in Italia, un fenomeno che riflette più in generale la consapevolezza crescente nella società su questi temi», dice Emilio Franco, amministratore delegato di Mediobanca Sgr. Il fenomeno è esploso soprattutto negli ultimi due anni in cui si è registrata una crescita del 154% con il lancio di oltre cento fondi sostenibili negli ultimi tre anni: oggi sono più di 1300.
Gli investimenti basati su strategie Sri (investimenti sostenibili e responsabili) e Esg (sigla che definisce in inglese i tre criteri di attenzione: ambiente, società, governance) valgono circa 375 miliardi. Sono esclusi settori problematici come armi, tabacco, alcool, gioco d’azzardo; si favorisce invece la sostenibilità ambientale e sociale delle società su cui si punta. Nel mondo della finanza, insomma, si fa largo la carica dei fondi "buoni" che si contrappongono a quelli tradizionali che fanno la parte dei cattivi, visto che ancora si limitano a guardare i parametri classici, strettamente finanziari, senza curarsi di aspetti come le emissioni di Co2, la composizione dei consigli di amministrazione o le condizioni di lavoro applicate dalle società in cui investono. Una distinzione però ancora non così chiara. 
«Riuscire a distinguere i "buoni" dai "cattivi" non è sempre agevole – osserva Angelo Meda, responsabile azionario e della ricerca Esg di Banor Sim –. In finanza si tende a cavalcare la moda del momento. Provare oggi a vendere un prodotto finanziario che magari rende tanto ma non è sostenibile, semplicemente non funziona». Per questo tutti sono, in un modo o nell’altro, diventati verdi. Si è sviluppato il fenomeno del «green washing», un "lavaggio" verde che serve a soddisfare almeno le esigenze di marketing. Quelle del pianeta, si vedrà. 
La domanda che da tempo arrovella gli investitori è se scegliere dove investire anche in base a criteri non strettamente finanziari faccia bene anche al portafoglio. Insomma: la sostenibilità fa guadagnare? Escludere alcuni settori e titoli per motivi sociali o ambientali ha delle controindicazioni, sostengono i detrattori: se non altro riduce l’universo di investimento e la possibilità di diversificare. Insomma, in Borsa c’è chi la definisce una «scelta limitante». «È un pregiudizio – ribatte però Roberto Grossi, vice direttore generale di Etica Sgr –. Al limite ci saranno meno opportunità di investimento, ma la selezione elimina quelle che nel medio-lungo termine potrebbero avere dei problemi per rischi attualmente sottovalutati». 
Avere un alto tasso di sostenibilità per un’impresa vuol dire affrontare per tempo temi come l’inquinamento e significa avere dei processi industriali tesi a ridurre i conflitti con i lavoratori e i clienti. «Questo – dice Emilio Franco, ad di Mediobanca Sgr – si traduce in un minor rischio di controversie future, sanzioni e risarcimenti. E consente in Borsa di avere una volatilità più contenuta». Quando il mercato scende, questi titoli resistono un po’ di più. 
«Le informazioni che si ottengono con un’analisi di sostenibilità – precisa Grossi – permettono di conoscere l’impresa da più punti di vista e ridurre i rischi». Ci sono, però, studi che cominciano a dimostrare come la sostenibilità possa aiutare anche le performance vere e proprie, i guadagni insomma. 
Assegnazione di "rating"
C’è in particolare uno studio di Morningstar che risale al febbraio dello scorso anno che ha preso in considerazione un universo di 56 indici in cui sono raggruppati titoli secondo criteri di sostenibilità. Di questi, 41 hanno fatto meglio degli indicatori equivalenti non vincolati ai parametri Esg. Insomma: «Un tasso di successo del 73%», si legge nel rapporto. Ma tutto va preso con le pinze, visto che ci sono studi che sostengono il contrario. Molto dipende dai parametri utilizzati. La verità, confida un manager, «è che siamo ancora di fronte a un Far West», dove non esistono standard codificati, regole omogenee. «La tradizionale analisi finanziaria ha più o meno gli stessi modelli da 100 anni – nota Meda, di Banor Sim –. I modelli di valutazione di sostenibilità sono partiti agli inizi degli Anni 2000, dopo lo scoppio della bolla Internet. Da tre anni il fenomeno è esploso, forse è arrivato il momento di dare delle regole». In Italia le istituzioni finanziarie sono al lavoro sul tema con il Forum per la Finanza Sostenibile. L’Unione Europea sta mettendo a punto un vocabolario e metriche comuni per i criteri di sostenibilità. Fino ad oggi la confusione ha regnato sovrana. Sono ancora relativamente pochi i fondi che analizzano le società in cui investono da questo punto di vista: serviranno analisti con nuove professionalità. Per ora buona parte delle analisi degli impatti sociali e ambientali delle società la fanno operatori specializzati che compongono indici e assegnano «rating», ossia giudizi che in maniera sintetica danno la pagella di sostenibilità.
La strada, però, è segnata: i grandi fondi hanno deciso che la direzione è quella. Non solo Blackrock. Per restare nel nostro giardino di casa, Generali – che gestisce un tesoro da 500 miliardi di euro – ha deciso di disinvestire 2 miliardi oggi allocati nel carbone. Nelle scelte di investimento ha allargato le analisi non solo alle performance ma anche alle politiche di sostenibilità. La nuova frontiera della finanza.