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 2020  febbraio 02 Domenica calendario

Quando Leopardi recensiva «libricciuoli»

«Il vento e i pizzicagnoli disperderanno questa poesia prima che alcun letterato l’abbia veduta», con questa profezia leopardiana Christian Genetelli apre il suo libro Un’inedita e ignota recensione di Giacomo Leopardi (in questi giorni in libreria) e “pubblica” così un articolo finora sconosciuto che Leopardi scrisse a diciotto anni, 204 anni fa su L’Ombra di Dante, poemetto in terzine in effetti fino a oggi scomparso. Probabilmente destinata allo «Spettatore», nella sezione «Rivista letteraria», Leopardi rinunciò presto alla stampa della recensione e i motivi custodiscono in sé più d’un interesse. 
Con la sua importante scoperta tra le frequentate carte leopardiane (diecimila documenti conservati nella sezione «Manoscritti e Rari» della Biblioteca Nazionale di Napoli) che la nascondevano e il libro di cui sopra, Genetelli, ha tratto dall’oblio non solo il testo inedito di Leopardi ma anche L’Ombra di Dante, visione di Giuliano Anniballi, il «libricciuolo» recensito da Giacomo, stampato a Loreto, nel 1816. Entrambi, infatti, sono ora riprodotti nell’aureo volumetto. 
Christian Genetelli insegna letteratura e filologia italiane all’Università di Friburgo, membro del Comitato del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, ha dedicato molti dei suoi lavori a Leopardi. Un’inedita e ignota recensione di Giacomo Leopardi offre un godimento assai raro al lettore, è un’opera rigorosa e insieme un’avventura investigativa appassionante che si legge apprezzando ancora una volta l’acume e il talento filologico e critico dell’autore. 
Sebbene edita, L’Ombra di Dante, era di così difficile reperimento da far sospettare una messa in scena, non aliena dal gusto per gli scherzi di Leopardi se si pensa che proprio nella primavera del 1816 Giacomo componeva l’Inno a Nettuno e le Odae Adespotae, pubblicati su «Lo Spettatore Italiano» il 1 maggio 1817 sotto le insospettabili spoglie di traduttore quando dei dichiarati versi ritrovati era invece l’autore. Genetelli dunque aveva l’inedita recensione leopardiana ma, conoscendo bene i raffinati tranelli di Leopardi, voleva metterla a fuoco in modo adeguato, gli restavano molti dubbi, così ha intrapreso una ricerca difficile ma dall’esito brillante che possiamo ammirare nelle limpide pagine del suo libro; ricostruendo il percorso di Anniballi e appassionandosi al personaggio secondario, inoltre, l’autore dà conto anche di integrazioni e novità che riguardano il dedicatario Sebastiano Sanchini al di là dell’inedita vicenda che lo lega «all’Ombra di Dante del pronipote Anniballi». 
Genetelli chiarisce con prove e argomentazioni, l’attribuzione, la datazione, le implicazioni, gli interrogativi che il documento portato alla luce suscita. Accertato che «non è un prodotto di area avantestuale (…) o di servizio» ma «è un testo concluso, in bella copia, pronto per la stampa», si sofferma sulla firma, la sigla «M.D.», che sta per Monaldoide, appellativo omerico con cui lo zio Carlo pare solesse chiamare Giacomo, e utilizza anche questa a ulteriore conferma per l’attribuzione e la datazione trovando con sicurezza “il gemello” in un’altra recensione pubblicata in due puntate nello «Spettatore», il 31 ottobre e il 15 novembre 1816, in cui Leopardi ha utilizzato la medesima firma, ma spiegando anche, e in questo illuminando pure l’evoluzione psicologica di Giacomo, il perché dopo il 1816 non l’abbia più adoperata. 
Questo è solo uno tra i tanti esempi che mostrano come ogni problema sia per Genetelli occasione di gettare nuova luce su aspetti tra loro irrelati e anche molto importanti quali, ad esempio, «una nuova, fin qui sconosciuta tessera del dantismo leopardiano: esperienza centrale in questo primo tempo della sua “conversione letteraria”». Mi riferisco però, in particolar modo, al rapporto tra il testo recensito e la cantica  Appressamento della morte che Leopardi scrive in undici giorni tra il novembre e il dicembre del ’16 e della quale Genetelli ha curato con S. Delcò-Toschini l’edizione critica (e alla quale ha dedicato pagine preziose nel suo  Incursioni leopardiane. Nei dintorni della «conversione letteraria») cantica «imparentata in quanto “visione” in terzine dantesche all’ Ombra di Dante di Giuliano Anniballi»; quest’ultima però, non è strutturata in forma di cantica ma «in un canto unico di 292 versi». Leopardi nella sua breve recensione, che brilla per ironia e splendida ambiguità, ne ritaglia 53 con una tecnica che adopererà «molti anni più tardi, nell’allestimento delle due  Crestomazie». Genetelli poi non manca di segnalare la «vischiosità del genere “visione” con la sua connaturata imitazione dantesco-montiana e la sua scenografia ricorrente». Tuttavia, nel poemetto di Anniballi sono presenti «ingredienti adatti a solleticare l’interesse, e anzi le urgenze del giovane Leopardi: su tutti l’anelito alla gloria letteraria, che nell’Appressamento è presente fin dalla situazione iniziale, in cui l’“io” si muove solitario in un idillico notturno lunare cercando proprio “eccelsa meta”».
Lascio ai lettori il piacere di scoprire le altre sorprese del libro, tra cui i confronti e le convergenze testuali che Genetelli documenta da par suo, limitandomi a segnalare che quello con l’Appressamento è un rapporto stretto e vitale e che «la scrittura dell’Appressamento non ha giovato alla pubblicazione della recensione» testo che Leopardi portò comunque con sé fino a Napoli.
Quella del 1816 è una stagione segnata da un «fervore pubblicistico» di cui si ha traccia anche nello scambio epistolare tra Anton Fortunato Stella, editore dello «Spettatore», e Leopardi col suo vivo interesse per i giornali dai quali intuiva il mondo (stando in Recanati) e con i quali voleva partecipare ai dibattiti letterari. Lo sguardo di Leopardi è attento sia alla realtà a lui vicina come quella dell’Anniballi (il quale conosceva Monaldo e non Giacomo), sia all’Europa, sia a Milano, desiderata meta della progettata fuga nell’estate del 1819.