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 2020  febbraio 02 Domenica calendario

L’Etiopia avrà la sua diga sul Nilo

La guerra dell’acqua non avrà luogo. Dopo mesi di pressioni americane, e di tutta la comunità internazionale, alla fine Egitto, Sudan ed Etiopia si sono messi d’accordo. La gigantesca diga sul Nilo azzurro sarà completata, il bacino riempito, e le 16 turbine idroelettriche produrranno energia a sufficienza per lo sviluppo dell’industria etiopica e anche per i suoi vicini. Ma i tempi saranno dilatati, in modo da non lasciare all’asciutto i Paesi a valle e soprattutto il "figlio del Nilo", cioè l’Egitto stesso. Era un esito logico, ma non scontato. Tanto che, un anno e mezzo fa, il presidente Abdel Fatah al-Sisi era arrivato a evocare "una guerra", senza mezzi termini, se Addis Abeba non fosse scesa a patti.
Adesso l’intesa mediata dal segretario al Tesoro statunitense, Steven Mnunchin, e dal presidente dalla Banca mondiale, David Malpass, potrebbe diventare un modello per casi simili, come il contenzioso fra Turchia, Siria, Iraq lungo il corso di Eufrate e Tigri. Perché l’acqua è il "petrolio del futuro" e i grandi fiumi, come all’inizio delle civiltà umane, sono al centro di una lotta senza quartiere. Quando, nel marzo del 2011, l’Etiopia ha lanciato il progetto della "Great Renaissance Dam", l’Egitto era nel tumulto della primavera araba e non ha reagito subito. Ma appena Al-Sisi è arrivato al potere l’ha subito considerata una minaccia strategica. Il perché è presto detto. L’Egitto riceve l’88 per cento dell’acqua potabile che consuma dal Nilo e da solo consuma il 66 per cento del flusso del grande fiume.
La grande diga, un progetto da 4 miliardi di dollari, larga 1,76 chilometri, è stata appena completata. Adesso bisogna riempire il lago artificiale che si formerà alle sue spalle, su una superficie 1874 chilometri quadrati, cinque volte quella del Garda. In totale conterrà 78 miliardi di metri cubi d’acqua. Al Cairo hanno fatto due conti. Se Addis Abeba avesse deciso di riempire il bacino in soli quattro anni, per arrivare subito a mettere in funzione tutte le 16 turbine da 6 mila megawatt complessivi, pari a sei centrali atomiche, l’Egitto avrebbe perso il 44 per cento del flusso del Nilo: da 55,5 miliardi di metri cubi all’anno a soli 31. Una situazione insostenibile.
A settembre il ministro dell’Acqua etiope Seleshi Bekele aveva precisato che la pianificazione prevedeva di riempire il bacino «in sei anni, a partire dalla prossima stagione delle piogge» per cominciare a produrre elettricità «nel dicembre 2020». Era ancora una «dichiarazione di guerra"» e sono dovuti intervenire gli Stati Uniti. Addis Abeba è uno dei Paesi più ricchi d’acqua dell’Africa ma ha un bisogno disperato di energia e di valuta pregiata. Punta a esportare elettricità e a lanciare la sua industria leggera, specie tessile, e a esportare elettricità in Sud Sudan e Uganda. Ma per l’Egitto mantenere costante il flusso del Nilo è questione di vita o di morte. Già oggi costretto a riciclare 25 miliardi di metri cubi all’anno, oltre a importare metà del cibo che consuma per mancanza di campi irrigati a sufficienza.
Il Cairo aveva proposto un periodo di riempimento dell’invaso di "almeno 25 anni", e ieri sarebbe stato raggiunto un compromesso a 21 anni, che limita al minimo la riduzione del flusso d’acqua. Nei giorni scorsi lo stesso ministro Seleshi si era detto ottimista: «Se gli egiziani vengono ad Addis Abeba vuol dire che sono pronti a un accordo». E’ così è stato. L’Etiopia avrà la sua diga sul Nilo, come già l’Egitto, che nel 1970 ha inaugurato la diga di Assuan dopo dieci anni di lavori. La Great Renaissance Dam è più alta, 155 metri contro 110, ma larga poco più della metà. Anche la potenza delle turbine è inferiore ai 10 mila megawatt di quella di Assuan. Ma l’idea è la stessa, fare il grande balzo nell’era industriale con una quantità illimitata di elettricità a basso costo. Che aiuterà anche il vicino Sudan. I "figli del Nilo" sono adesso tre e si spera che vadano d’accordo.