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 2020  febbraio 02 Domenica calendario

Una crisi sanitaria globale

La decisione dell’Organizzazione mondiale della sanità di definire il coronavirus del Wuhan la «prima emergenza sanitaria globale» della nuova era geopolitica si spiega con le sue tre caratteristiche non sanitarie: le dimensioni dell’economia di Pechino, la debolezza del governo di Xi e la conflittualità fra la Cina ed i suoi rivali planetari.
Iniziamo dalle dimensioni della Cina. Se è vero che il virus del Wuhan appartiene alla stessa famiglia dei virus respiratori che include la Sars, da quando nel 2002-2003 questa si manifestò il peso dell’economia cinese è cresciuto dal sesto Pil globale - simile a quello italiano - al secondo, per un valore stimato di 14,55 trilioni di dollari che lo assimila a quello dell’intera Unione europea. La Cina oggi è il primo produttore di manifatture del Pianeta, il primo importatore di greggio, il primo mercato per auto, alcol e beni di lusso, nonché la fonte del turismo che spende di più all’estero. 
Ovvero, se la Sars causò un arretramento del Pil cinese dell’1,1 per cento e di quello di Hong Kong del 2,6, in questo caso l’impatto è destinato a essere ben maggiore: per l’entità della ricchezza nazionale ma anche per le caratteristiche del virus al momento presente in 14 province e città della Repubblica popolare che sommano due terzi della sua crescita economica.
Ecco perché Jerome Powell, presidente della Federal Reserve americana, afferma che «la Cina conta molto oggi per l’economia globale e quando rallenta ne sentiamo le conseguenze». Pechino infatti è il primo importatore da Ue e Brasile, e ha la leadership dell’export verso Usa, Giappone e India. Da qui la previsione che un rallentamento del Pil cinese - con alle spalle nel 2019 il peggior dato di avanzamento dal 1990 - a causa del coronavirus avrebbe conseguenti pesanti su scala globale, a cominciare dall’Unione europea, fino allo spettro di una recessione. A essere a rischio non è dunque solo il progetto della Nuova Via della Seta ma un perno strategico degli scambi economici globali. 
Da qui le crescenti pressioni su Xi Jinping affinché affretti e migliori il livello di collaborazione con la comunità internazionale: le scuse pubbliche arrivate dal governatore del Wuhan e l’impegno di Pechino ad affrontare il virus come una "priorità" sono segnali importanti su questo fronte ma il sospetto che la Cina abbia ritardato l’allarme per ragioni politiche interne sta prendendo piede fino al punto da spingere Usa, Giappone e Australia a impedire a qualsiasi straniero transitato per la Cina di superare la dogana. C’è dunque il dubbio che il sistema di potere cinese - fondato su un rigido controllo dell’amministrazione dall’alto in basso - abbia impedito di far conoscere subito l’entità della minaccia del virus che ha già ucciso almeno 250 persone e contagiato altre 10 mila. 
Per Xi questo significa che la legittima aspirazione a essere la prima potenza globale nel commercio impone istituzioni meno rigide e soprattutto investimenti massicci per far maturare una cultura igienica e sanitaria capace di imporsi su abitudini alimentari che comportano gravi rischi per la collettività. Come dire, puntare alla leadership nell’hi-tech non è compatibile con il consumo di animali selvatici senza alcun tipo di protezioni alimentari. È un nodo che investe il grave ritardo di sviluppo, culturale ed economico, dello sterminato entroterra cinese rispetto allo sviluppo delle città degli ultimi 25 anni, obbligando Xi ad affrontarlo in fretta.
Ma non è tutto perché tutto ciò si somma alla forte rivalità in corso fra Usa, Russia e Cina, minacciando conseguenze più vaste. A confermarlo sono le informazioni diffuse da più siti Internet ultranazionalisti russi sulla possibile genesi del coronavirus negli Stati Uniti «al fine di indebolire la Cina», amplificate da Pravda e Izvestiya, sul modello di quanto avvenne con l’Operazione Infektion - allorché durante la Guerra Fredda l’Urss tentò di addebitare agli Usa l’Aids - a cui il "Washington Times" ha replicato ipotizzando che il virus sia in realtà uscito per errore da «laboratori cinesi per la guerra batteriologica nel Wuhan». Per evitare che la crisi del coronavirus si trasformi in un pericolo per la crescita globale e per le relazioni fra grandi potenze ciò che serve di più in questo momento è la completa trasparenza delle autorità cinesi su quanto sta avvenendo sul loro territorio.