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 2020  febbraio 02 Domenica calendario

Biografia di Donna Rotunno (l’avvocato di Weinstein)

L’avvocato del diavolo veste Ferragamo. Con qualche concessione a Chanel e al tacco 12 firmato Jimmy Choo. Si mostra imponente, al contempo femminile e decisa. Colori scuri, una borsa nera e pesante che non lascia portare a nessun altro. Questa è Donna Rotunno, il difensore. Al suo fianco l’imputato, Harvey Weinstein. Avanza curvo sul deambulatore, ha la barba di tre giorni, i pochi capelli arruffati e un completo grigio. Arranca, guarda in basso. Si presentano così in tribunale, così alla giuria. La didascalia sottintesa nell’immagine è questa: «Ma secondo voi davvero una donna, una donna come questa, potrebbe essere sopraffatta da un uomo come questo?». La risposta avrà tutta la relatività e l’inossidabilità di un verdetto. Deciderà libertà o prigione per quell’uomo ma anche, si sostiene, liberazione o continuazione della sottomissione per tutte le donne. Non è il processo del secolo, è quello a ogni epoca e Donna Rotunno ne è la vera protagonista. È la signora #IoNo, la transfuga dal campo per destinazione, quella che sceglie il diritto invece del genere. Il ruolo le piace e si vede. Non lo fa soltanto per i soldi, ma per l’ebbrezza del bastian contrario. Adora la solitudine in cui si è auto-confinata proclamando un distinguo tra ragioni e giustizia. Sottilmente sa di non aver scelto una causa persa, ma una che nessun altro potrebbe vincere. Apparecchia una difesa sporca e perfetta. Controlla e prevede ogni cosa. Con l’eccezione del cane. Minuscolo, come i particolari che ti fregano, è sbucato all’improvviso e non l’ha visto arrivare. Risbucherà alla fine.
L’avvocato del diavolo era già molto popolare tra i satanassi. Aveva difeso 40 accusati di reati sessuali facendone assolvere 39. Per il quarantesimo voleva attribuire la responsabilità al cugino, ma quello morì durante il processo, rovinandole la strategia. La vittima aveva 15 anni. In udienza la torchiò fino a farla piangere e chiedere una sospensione. Si avvicinò al giudice e gli bisbigliò: «Per favore, le spieghi che sto solo facendo il mio lavoro». Ed è una verità incontestabile. Donna Rotunno si è disegnata da sé, non aveva legali in famiglia. Ha deciso di diventarlo guardando i telefilm. E si vede. Lei stessa ha detto che mettere insieme il collegio di difesa è stato «un po’ come fare casting». Da produttore esperto e spietato Weinstein aveva già preso e mollato diversi primattori. L’incarico provoca una fama di natura ambigua e in cambio dei soldi regala qualcosa di non ripagabile: cattiva reputazione in molti ambienti. Espone al contatto con un demonio ferito che manda cento mail al giorno e ti piomba in casa di notte. Alla fine son rimasti in sei, capitanati da Donna. Lei ha riprodotto tutte le mosse imparate alla tv. Quella dell’abbigliamento viene da Bull, dove c’è addirittura un consulente che ha fatto il direttore moda nelle riviste specializzate. Il tocco aggiunto è di natura subliminale: una collanina d’oro che abbraccia la scritta “Not guilty”, non colpevole. Ci gioca, la lascia scintillare, i giurati strizzano gli occhi. L’altro elemento chiave di Bull è la scelta della giuria: la teoria è che azzeccandola si possa vincere qualsiasi causa. È riuscita ad avere 7 uomini, di cui 6 bianchi e 4 ricchi e tra le 5 donne nessuna è giovane come le presunte vittime dell’accusato. Il meglio di sé lo dà nei controinterrogatori. È perfettamente consapevole di avere un vantaggio rispetto ai colleghi maschi in questo tipo di processo. Nelle udienze della settimana si è parlato di cunnilingus e mestruazioni, di centimetri di inserzione vaginale delle dita, di soglie che è opportuno o no varcare. Sugli stessi argomenti il dialogo tra una donna che risponde e un uomo che domanda apparirebbe morboso; le precisazioni, insinuazioni; l’insistenza, perversione. Tra Donna e donna può sembrare una scena di Sex & the City o, quando si scalda, una “catfight”, la lotta tra femmine che costituisce il più noto afrodisiaco per maschi. Solo Donna può impunemente rinfacciare a un’altra donna che aprire la porta in camicia da notte, a tarda ora, costituisca un segnale di disponibilità. Può suggerire che un’attrice non sia credibile perché di professione recita, proprio mentre lei ha allestito la più professionale delle recite.
In scena ha però portato alcuni principi fondamentali. Ci ricorda che non dobbiamo pregiudicare nessuno, a qualunque livello della scala sociale; che ogni accusa non è un postulato, indimostrato, ma un teorema: richiede dimostrazione. Una cosa è lo stupratore armato di coltello, un’altra quello armato del suo potere. La prova diventa più complessa, le azioni sfumano e bisogna addentrarsi nella psicologia dei rapporti di forza in un particolare ambiente, capire le personalità nella loro distorsione, spesso troppo a lungo tollerata.
L’avvocato del diavolo ribadisce che chiunque ha il diritto alla difesa. In teoria: alla miglior difesa possibile. Potendosela permettere, però, chiunque può essere assolto: da O.J. Simpson a Harvey Weinstein.
Resta il problema del cane. In aula Donna Rotunno è considerata un bulldog. Purtroppo per lei qualche giorno fa è saltato fuori un chihuahua di nome Peanut, nocciolina. Lo teneva in casa una delle accusatrici. La sua coinquilina ha testimoniato che Weinstein alla sua vista reagì con un misto di fastidio e spavento, come un elefante con il topo. All’uscita, i giornalisti ne hanno chiesto conto all’imputato. Lui si è girato e non c’erano deambulatore, barba sfatta o abito grigio a mascherarlo: «Vi sembro uno che ha paura di un dannato chihuahua?». E in quel momento, se mai lo replicasse in udienza, chiunque capirebbe che nessuno, Donna o uomo, può facilmente opporsi al diavolo.