la Repubblica, 2 febbraio 2020
La battaglia di Crodo per tenersi il Crodino
«Giù le mani dal Crodino!». L’aperitivo biondo che fa impazzire il mondo è a rischio trasloco. E Crodo, il paese che gli ha dato i natali – lo dice il nome stesso – e che se lo coccola da 55 anni non ci sta. «È un pezzo delle nostre radici – dice il sindaco Ermanno Savoia – L’abbiamo inventato in Valle Antigorio, è fatto da sempre con l’acqua della sorgente Lisiel che sgorga a 200 metri dal Comune. E ora vogliono andare a produrlo a Novi Ligure. Dove, che io sappia, non esistono fonti naturali…». Business, però, is business. Campari, proprietaria del marchio del più amato analcolico d’Italia, ha ceduto l’impianto di produzione piemontese nel 2017 alla danese Unibrew. L’accordo prevedeva che fino a fine 2020 il Crodino sarebbe stato imbottigliato qui. Poi liberi tutti. E tra pochi mesi, salvo intese in zona Cesarini, il figlio prediletto di Crodo emigrerà altrove.
«Campari aveva già provato a spostare la produzione a Sulmona nel ’96 – racconta Savoia – ma proteste e minacce di cause legali avevano bloccato tutto». Questa volta non c’è carta bollata che tenga. La scorsa settimana in un’affollata assemblea pubblica – presenti aziende, sindacati e istituzioni – gli irriducibili crodinisti di Crodo hanno ribadito la richiesta di non tagliare il cordone ombelicale che lega l’analcolico alla valle. Ma le speranze di riuscirci sono poche.
Il no al trasloco – lo ammettono in camera caritatis pure i sindacati – è una questione più d’orgoglio identitario che d’occupazione. «Unibrew ha aumentato la produzione di Oransoda e Lemonsoda, le macchine viaggiano a pieno ritmo», raccontano i dipendenti. «Buona parte delle 20 persone assegnate alla linea del Crodino dovrebbe essere assorbita», conferma Savoia. Ma il vulnus resta. «Quelle bottigliette sono la storia della nostra valle, in qualche decennio ci hanno lavorato almeno 1.250 operai sui 1.400 abitanti di Crodo», dice Marco Mantovani, responsabile del Centro studi Piero Ginocchi, l’industriale che ha creato dal nulla l’analcolico.
«Tutto è nato come una scommessa un po’ folle», ricorda Maurizio Gozzelino, professione “aromatiere”, il re delle erbe che nel 1965 dopo decine di prove («non sempre andate bene», ammette) ha inventato la ricetta del Crodino, segreta come quella della Coca Cola. «Nell’Italia di inizio anni’ 60 i re delle bevande alimentari erano due – dice Mantovani – : Giuseppe Mentasti con la San Pellegrino e Piero Ginocchi con le Fonti di Crodo, nemici per la pelle come Rivera e Mazzola». E quando il Bitter di Mentasti ha fatto bingo sul mercato, l’arci-rivale ha deciso di rispondere per le rime, strappando Gozzelino alla Ulrich di Torino («mi ha raddoppiato lo stipendio») e dandogli il compito di inventare l’anti-Bitter, «Fare un analcolico eccelso è facile, farne uno pessimo pure – racconta l’aromatiere –. Il difficile era inventarne uno che centrasse il gusto medio». Si è chiuso nel laboratorio di Crodo, ha mischiato genziana, assenzio, tracce di tuione e altre trenta erbe “bouquettandole” con oli essenziali di agrumi e vaniglia. E alla fine ha trovato la formula magica. «Volevamo chiamarlo Picador ma un’azienda di Trieste aveva un liquore con quel nome». E a tagliare la testa al toro ci ha pensato Policarpo Cane, il creativo del gruppo: «Se Cinzano ha il Cinzanino, Crodo avrà il Crodino». Legando per sempre il destino della bevanda a quello del paese.
Il resto è storia. Il 28 luglio 1965 escono dallo stabilimento le prime 53.855 bottiglie. Il prodotto tira. Ginocchi sfida l’ira del Vaticano e arruola per i Caroselli Brigitte Bardot (reduce dal film “E Dio creò la donna”, non graditissimo alle gerarchie ecclesiastiche), slogan “Natura Bionda”. Un successo clamoroso. Nel 1977 lo scandalo del colorante E123 costringe Campari a ritirare per qualche tempo il Bitter e il rivale biondo fa boom. Gli impianti viaggiano 24 ore su 24, negli spot si succedono il gorilla con il barman Dino ("damme un Crodino") e l’altro testimonial Vip Owen Wilson. Ginocchi vende all’olandese Bols che gira l’azienda, nemesi storica, a Campari. «La nuova proprietà – ammette con fair-play Mantovani – ha difeso bene il marchio». E l’idea è di spingere le esportazioni sulla scia del boom dell’Aperol. Da dove? «A breve ci sarà l’appuntamento decisivo con le due aziende – dice Savoia –. Incrociamo le dita». Se la resistenza di Crodo avrà successo, a Novi – dove forse sono riusciti a evitare la delocalizzazione di Pernigotti – se ne faranno una ragione. E potranno sempre consolarsi stappando un Crodino.