Il Messaggero, 1 febbraio 2020
Biografia di Bertrand Russell
Domani, 2 Febbraio, ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Bertrand Russell, matematico, scrittore, filosofo e premio Nobel della letteratura. Un intelletto brillante e una penna divulgativa, che affascinò almeno due generazioni, compresa la nostra, con la limpida prosa dell’erudito anglosassone. Abituati a procedere con fatica nei contorti testi liceali, fu per noi una ventata di freschezza leggere la sua Storia della filosofia occidentale scritta in modo comprensibile. Forse perché l’Autore, cresciuto tra le formule algebriche, detestava tutto ciò che non fosse, cartesianamente, chiaro e distinto.
Russell era nato a Trellech, nel Galles, il 18 Maggio 1872, da una famiglia di antiche radici aristocratiche, imparentata, direttamente o indirettamente, con tutta la nobiltà britannica. I genitori morirono poco dopo, e il bambino fu consegnato a parenti e tutori che gli impressero un’educazione autoritaria e laicamente puritana, tanto che Bertrandino, in tenera età, già meditava il suicidio. Si salvò, scrisse nella sua autobiografia, studiando la matematica e leggendo Leibnitz. Perse la fede in Dio, senza acquistarla nel genere umano, di cui non capiva il logoramento in astratte dispute sterili e soprattutto in stragi insensate. Allo scoppio della guerra rifiutò la divisa, fu incarcerato e ostracizzato dalla buona società.
INFATUAZIONI
Forse per reazione, maturò convinzioni comuniste, e vide nella proprietà privata e nell’imperialismo economico la fonte di tutti i mali. L’infatuazione durò poco. Durante un viaggio in Russia dopo la Rivoluzione bolscevica si avvide subito che quella tirannide era anche peggiore del capitalismo più sfrenato. Con gli anni diventò un socialdemocratico, pur mantenendo le idee ultraradicali sulla morale, il divorzio, l’omosessualità e altri tabù dell’epoca postvittoriana. Coerente con le sue teorie si sposò più volte ed ebbe numerose relazioni extraconiugali. Nonostante fosse esile e anemico, le energie non gli mancavano. Sembrava sempre sull’orlo della tomba e invece, come Fontenelle, quasi si dimenticò di morire.
Il suo pacifismo vacillò quando Hitler invase l’Europa, e Russell invocò la guerra al nazismo come il minore di mali, dimenticando che se gli inglesi avessero seguito le sue dottrine sarebbero stati inermi alla mercè del dittatore tedesco. Come Einstein, che dopo aver deprecato armi e divise suggerì a Roosevelt di costruire l’atomica, Russell dimostrò che la troppa luce abbaglia, e che anche troppa intelligenza può convertirsi in pericolosa ingenuità. Ritornata la pace, quando Stalin si rivelò in tutta la sua malvagità aggressiva, il nostro mansueto filosofo propose addirittura un attacco nucleare preventivo contro il despota sovietico. Per fortuna il presidente Truman, digiuno di velleità epistemologiche, non gli diede retta. E Russell, pentito e forse deluso, riprese a predicare un disarmo globale.
LA PIPA
Nel frattempo si mantenne insegnando e tenendo conferenze. Di ritorno da una di queste il suo aereo precipitò in mare, e il superstite professore attribuì la sua salvezza alla sua pipa, perché l’intera zona no smoking era subito affondata: come Churchill, De Gaulle e Pertini, anche lui raggiunse un’età veneranda con il vizio del tabacco. Nel frattempo la sua opera letteraria aumentava, e nel 1950 fu coronata con il Premio Nobel. Fu una scelta contestata, ma giusta. Russell non è certo un romanziere, ma il suo inglese è delizioso, e il suo contributo alla cultura è immenso. Non si occupò infatti solo di logica e di matematica; scrisse di scienza, di arte, di costume, di etica, di educazione, di storia e, naturalmente, di religione e di filosofia, quasi sempre suscitando polemiche.
Come molti spiriti liberi, riuscì infatti a farsi detestare da tutti: dai benpensanti, per la sua disinvoltura sessuale; dai conservatori, per le sue simpatie socialiste; dai marxisti, per il suo antisovietismo; dagli accademici per il suo criticismo corrosivo; dai patrioti, per il suo pacifismo, e dagli stessi pacifisti per i suoi occasionali scantonamenti bellicosi. La maggiore ostilità gli arrivò ovviamente dalle chiese, a cominciare da quella anglicana. Benché si definisse intellettualmente agnostico, Russell era radicalmente ateo e anticlericale: definiva le religioni false e dannose, anche se condivideva, del cristianesimo, alcuni principi morali. Ma gli mancò la saggia indulgenza di Voltaire – il pensatore che più gli assomigliava nella chiarezza della prosa e nel fisico segaligno – che riconosceva nella religione il collante fondamentale di ogni civiltà, e affermava che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo.
UTOPISMO
Lo scettico aristocratico britannico era – come molti utopisti umanitari incapace di comprendere l’efficacia consolatoria della fede nel gravoso procedere della vita ordinaria, destinata altrimenti a concludersi con una morte ineluttabile, dolorosa ed eterna. Russell era troppo vincolato alla logica dei numeri, delle formule e di un razionalismo esasperato, e non ebbe quell’ampia visione prospettica che fa di uno scienziato un saggio, conferendogli una comprensione della vita in tutte le sue manifestazioni intuitive e sentimentali. Le sue dotte astrazioni, come scrisse Will Durant, «lo allontanarono dal contatto contaminante delle cose», e anche le sue invocazioni umanitarie furono un sollievo poetico alla prosa del mondo, più che un pratico accostamento ai problemi della vita. Cosicché, invecchiando, tale visione astratta gli fece perdere il senso della misura: quando, durante la crisi di Cuba, accusò Kennedy di fomentare una guerra atomica, fu energicamente e giustamente bacchettato dal giovane presidente, che gli imputò di non distinguere il ladro dal poliziotto, e l’aggressore dall’aggredito. Neanche la sua partecipazione al Tribunale Internazionale con Jean Paul Sartre fu una pagina encomiabile, perché trascurò il terrorismo dei vietcong verso quella martoriata popolazione. Nonostante il suo razionalismo, era troppo emotivo per essere imparziale.
Con tutto ciò, gli siamo grati di aver divulgato, in una prosa accessibile, l’avventura del pensiero umano. I suoi scritti filosofici, criticati dai professionisti per la loro simplicitas ci riconciliano con le stravaganze più astruse elaborate, durante duemilacinquecento anni, dalla fertile fantasia dei sapienti nel vano tentativo di dare un significato a un mondo inspiegabile. Russell sosteneva che tutte le religioni sono false perché si contraddicono tra loro. Lo stesso si dovrebbe dire dei sistemi filosofici, quasi tutti incompatibili gli uni con gli altri. Possiamo concludere che, anche se non lo ammette, Bertrand Russell condivide il pensiero di Pascal, che burlarsi della filosofia è l’unico modo di filosofare.