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 2020  febbraio 01 Sabato calendario

Il califfo che fece il patto col diavolo

Pochi destini come quello di William Beckford si prestano a illustrare il rapporto vampiresco della vita nei confronti della letteratura. Di norma ( talmente di norma che ogni esemplificazione sarebbe superflua) è la letteratura a vampirizzare la vita succhiandone i casi e le storie, sicché l’azione contraria ci appare al più come una” posa” o una forma di estetismo decadente.
Si danno invece casi, come appunto quello di Beckford, in cui lo scrittore, formatosi come individuo leggendo e scrivendo, abdichi precocemente e definitivamente alla letteratura per farsi personaggio di libro, non teatralmente, non in pubblico ma in privato, all’interno e nel segreto dell’unico libro scritto da lui stesso. Erede di una delle maggiori fortune britanniche ( suo padre possedeva immense piantagioni in Giamaica), Beckford visse ottantaquattro anni, dal 1760 al 1844: di questi anni i primi venti furono dedicati allo studio, ai viaggi, al collezionismo; nel corso del ventunesimo, si dice nel giro di pochi giorni, fu scritto il Vathek; dopodiché Beckford si sottrasse al mondo isolandosi in una mostruosa reggia- fortezza circondata da un perimetro di altissime mura lungo oltre dieci chilometri.
Incessantemente ampliata fino agli ultimi anni di vita del proprietario, la reggia crebbe su se stessa con nuovi edifici collegati da campate aeree e vie sotterranee, montò in altezza, divenne un trionfo di guglie e pinnacoli ispirato all’architettura egiziana, babilonese, greca, romanica, gotica, indiana, cinese.Nascosto all’interno di questa superfetazione come un mollusco che continui a secernere forme geometriche, Beckford cessò presto di essere l’autore del Vathek per trasformarsi compiutamente nell’eponimo protagonista.
Califfo abbaside realmente esistito nel IX secolo, Vathek diventa nel libro di Beckford un personaggio faustiano ( con nove anni di anticipo, si noti, sulla prima parte del Faust di Goethe), disposto ad abiurare Maometto e a fare un patto con il Giaurro, emissario di Eblis, il Satana coranico.
Poco faustianamente, però, il premio del patto non consiste nella conoscenza estrema e nel potere di dominare la natura o addirittura creare la vita, ma in un accesso illimitato ai beni materiali: cibo ( di cui il califfo è avidissimo), vino, donne, profumi, vesti, lavacri, gioielli… Il patto prevede però che questo sogno epicureo sia pagato con una continua serie di sacrifici umani, dettaglio che conferisce a questa esotica e sensuale féerie i toni cupi della letteratura sadica ( peraltro perfettamente coeva).
Già dotato in proprio di uno sguardo capace di uccidere ( «quando andava in collera, uno dei suoi occhi diventava così terribile che non si poteva sostenerne lo sguardo, e lo sventurato sul quale quell’occhio si posava cadeva riverso e moriva all’istante» ), Vathek tende a non avere più rapporti col mondo: erige una babelica torre alta undicimila gradini, sui quali sale e scende nevroticamente come un topolino in gabbia; sotto questa torre ci sono «pozzi misteriosi che nascondevano le mummie degli antichi Faraoni, strappate alle loro tombe, (…) e dove, sotto la guardia di cinquanta negre mute e guerce, era conservato l’olio dei serpenti più velenosi, insieme a corna di rinoceronte (…), senza parlare di altre mille rarità orribili», ed è in questa wunderkammer ipogea che il califfo ama di portarsi per provare il brivido del macabro.
Tutt’attorno alla torre, cinque palazzi, ognuno dedicato a un senso come nell’immaginario barocco, e come puntualmente replicò Beckford nella sua tenuta di Fonthill. Tanta voluttà non basta però a saziare il califfo, che dopo l’incontro con il Giaurro pensa solo a raggiungere il Palazzo del Fuoco, prospettatogli come un paradiso: sarà ovviamente l’inferno, nel quale egli verrà chiuso per l’eternità insieme a ogni sorta di beni terreni.Certo Beckford non sacrificò cinquanta bambini alla volta e non impastò col sangue la malta per le proprie costruzioni, ma nella sua sessantennale autoreclusione non possiamo non cogliere qualcosa che, se non è l’inferno, assomiglia a una sepoltura prematura, cosa che, per chi ne ha i mezzi, potrebbe anche essere una forma di felicità e di salvezza.
Scritto in francese, il Vathek deve la sua notorietà alla versione inglese di Samuel Henley ( 1786), che lo fece entrare nella tradizione del gothic novel, con un percorso inverso rispetto a quello compiuto da Il monaco di Matthew G. Lewis, scritto in inglese e diventato un classico grazie alla libera versione francese di Antonin Artaud. Non a caso i due titoli, insieme alMelmoth di Charles Robert Maturin, apparvero negli anni ’ 60 nella bella collana Bompiani «Il Pesanervi».