Dottor Guerra, perché ha deciso di lasciare Eataly?
«Il mio desiderio dopo Luxottica era quello di lavorare per una startup e così ho fatto. Eataly in meno di 10 anni ha creato uno dei marchi italiani più famosi al mondo attraverso un lavoro faticoso e creativo. Oggi posso dire che lascio la parte strategica e operativa a 25-30 giovani manager con un piano di sviluppo preciso e con il cash flow per finanziare lo sviluppo. Io rimango presidente, con un ruolo da chioccia».
In tutte le aziende per cui ha lavorato, Merloni, Luxottica, Eataly, la proprietà era di una famiglia che ha scelto di aprirsi a manager esterni, per poi ripensarci e riprendere in mano la gestione. È un problema tutto italiano?
«Il modello di proprietà ideale non esiste. La formula della famiglia nel ruolo di investitore e azionista di lungo periodo ma aperta al management esterno non mi dispiace. Nel caso di Eataly Nicola Farinetti non è stato messo lì perché figlio di. Dieci anni fa è andato in America e ha costruito mattone su mattone Eataly Usa lavorando giorno e notte. È la persona ideale per guidare questa società».
È sbagliato pensare che lei se ne va perché è fallito il progetto di portare Eataly in Borsa?
«Sì. Eataly nasce aperta, da sette anni ha il fondo Tip nel capitale e la quotazione non rappresenta un salto nel vuoto. A mio parere Eataly è destinata alla Borsa e prima o poi questo accadrà. Forse su questo tema si è creata un’aspettativa eccessiva».
Eataly può ancora crescere?
«Certo, fattura poco meno di 600 milioni e può arrivare a 1,5-2 miliardi puntando ad avere un negozio in ogni capitale del mondo. Poggiando però su due pilastri ben saldi: l’Italia, dove l’unica apertura che manca è quella di Verona, e il Nordamerica che attualmente conta sette negozi ma nell’arco di tre anni saranno il doppio. Poi si partirà con l’Asia, il Sudamerica e le altre capitali europee. A Parigi Eataly ha avuto un successo enorme e siamo pronti per Londra. La formula è azzeccata».
Ma la redditività è soddisfacente?
«Oggi Eataly produce un Ebitda del 5% che viene tutto reinvestito nello sviluppo futuro».
Quando lei è arrivato c’erano diversi problemi con la forza lavoro, si diceva che Eataly sfruttava i dipendenti con contratti di precariato. Oggi com’è la situazione?
«È stato messo tutto a posto, anzi con i sindacati abbiamo fatto un accordo in cui sperimentiamo con i nostri lavoratori un concetto più largo, quello di ospitalità. Non ci saranno solo commessi, cuochi o magazzinieri ma individuiamo dei percorsi di carriera per creare delle figure di host a 36 0 gradi».
Lei sarà il nuovo ceo di Lvmh Hospitality Excellence, come si passa dal food al lusso?
«Negli ultimi anni sono cambiati i consumatori e i loro comportamenti.
Un tempo l’oggetto dava la felicità alle persone, oggi si parla sempre più di esperienze. E il lusso come esperienza sta assumendo vieppiù un peso più grande. Lvmh sta costruendo pilastri nel campo dell’ospitalità e del turismo e mi ha chiesto di contribuire alla crescita di questa divisione. Con una metafora calcistica è come se mi avesse chiamato il Real Madrid, difficile rifiutare».
Per un anno è stato consulente strategico dell’ex premier Matteo Renzi. Che cosa ricorda di quell’esperienza?
«È stato come fare il servizio civile, ho imparato tanto e una delle esperienze più belle è stato fare Industria 4.0 con Carlo Calenda. È triste vedere che il governo gialloverde abbia cercato di smontarla per poi rimontarla perdendo tempo in un periodo di grande incertezza e instabilità. È da cartellino rosso».
Da manager globale come si combatte il vento nazional populista che spira sull’ Italia?
«Il senso di chiusura di oggi è dettato dalla paura, dall’ansia per il futuro, per il prossimo e per la sorte dei propri figli. Fino a quando una forza progressista non si adopererà per risolvere questi problemi non vedo un gran futuro».
Vede un salvatore della patria nell’agone politico?
«Non vedo nessuno che si stia dando da fare per risolvere i problemi appena elencati. Vedrei bene Calenda come sindaco di Roma, ha la capacità operativa e la giusta cattiveria per rimettere in piedi la città».