Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  febbraio 01 Sabato calendario

Storie di prudenza e di cretineria per il virus

Non ridete della prudenza. Non è vero che non ci piacciono i cinesi perché nelle scuole, com’è accaduto alle elementari di Castelguglielmo in provincia di Rovigo, mettiamo in quarantena, che non è il nome di una punizione con le orecchie d’asino ma di una civilissima protezione, i bellissimi bimbi tornati dalla Cina. E non sono certo xenofobi il Conservatorio di Como e il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma che hanno sospeso le lezioni agli studenti orientali. La musica guarisce da tanti mali, ma non ferma i contagi.
E c’è una domanda che ciascuno dovrebbe fare a se stesso: quanto i genitori di Castelguglielmo somigliano ai proprietari del bar di Fontana di Trevi che hanno vietato, in inglese e in cinese, l’ingresso “a tutte le persone che vengono dalla Cina”? È davvero difficile tracciare il confine tra paura e psicosi, ma è evidente che un cartello come quello di Fontana di Trevi allontana alla fine solo i cinesi che, in quanto cinesi, sono riconoscibili. In Francia il Courier Picard ha fatto il titolo in prima pagina “Alerte Jaune” e giustamente i cinesi residenti a Parigi hanno risposto con l’hastag #JeNeSuisPasUnVirus.
E però il virus lo portano i cinesi, che sono appunto riconoscibili, e dunque si capisce che la naturale e umanissima paura di un genitore possa diventare irrazionale: «Avevamo escluso la malattia – ha detto Antonio Compostella, direttore della Usl di Castelguglielmo – perché i due bimbi erano rientrati da più di 12 giorni che è il tempo stimato dell’incubazione. Ma abbiamo poi deciso, d’intesa con i genitori, di sottoporli a un controllo più lungo prima di riammetterli a scuola». Come si vede, anche a questo servono la prudenza, la profilassi, l’igiene e il controllo medico: ad arginare lo spavento, a governarlo, a non farlo diventare cieca stupidità.
In questo senso è giusto incoraggiare e insegnare il buon uso della mascherina negli aeroporti (e dove se no?) e imporlo – com’è stato chiesto dalle autorità sanitarie internazionali – ai medici e agli infermieri che lavorano negli ospedali. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha decretato lo stato di emergenza che non significa l’arrivo dell’esercito ma appunto il ricorso a dosi massicce di prudenza.
La mascherina sul viso in Oriente è un segno di rispetto verso gli altri, un modo per rassicurare il prossimo, non una difesa di sé ma una difesa da sé. E infatti ieri a al Carrefour di via Flaminia a Roma ho visto un gruppo di cinesi, che sono il popolo più popolo del mondo e dunque non sono mai solitari, tutti con la maschera. La indossavano però non sulla faccia ma a penzoloni attorno al collo. Ho chiesto come mai. E loro: «Ahò, semo romani».
Ecco, forse sarebbe ora di smetterla di accusare di razzismo chi prende attente e rispettose precauzioni quando incontra turisti cinesi, europei, e italiani che sono o potrebbero essere stati in Cina. E torniamo alla domanda iniziale: quando le precauzioni diventano offese?
I ragazzi che, a Venezia, come racconta Il Gazzettino, hanno aggredito a insulti e sputi una coppia di cinesi sono innanzitutto teppisti. Purtroppo però il teppismo anticinese si sta ripetendo come un orrendo tormentone italiano, come i sassi dal cavalcavia, la caccia al nero, la barbarie dell’acido che a poco a poco, sempre per contagio, si impose, in un’escalation di donne, e qualche volta di uomini, sfregiate dagli ex.
C’è dunque con il virus cinese, che è una malattia del corpo, anche il virus anticinese, che è una malattia dell’anima. E può darsi che per ora il virus anticinese stia mostrando solo la sua faccia cretina. E forse è anche così che vanno raccontate queste storie, con il codice dei cretini: a Cesano Boscone un calciatore quattordicenne dell’Idrostar è stato insultato e invitato a tornare in Cina, dove non è mai stato: «Spero che ti venga il virus» gli ha gridato l’avversario, che poi ha chiesto scusa. A Palermo un’anziana cinese è stata circondata da una banda di 5 teppisti, tra cui pure due immigrati africani: «Sei così brutta che neppure il virus ti vuole». E così a Firenze: «Andate a tossire a casa vostra». E ancora a Milano, a Pavia… Ma forse perché la loro Chinatown non è ancora così grande come quelle di Roma e di Milano, i napoletani sono quelli che più ci scherzano, rilanciando il mito della loro leggerezza. È infatti formidabile l’audio WhatsApp del finto venditore di strada, “Gennaro a Forcella, a vostra disposizione”, che affitta “o cinese ca ’a tosse”: per non fare le file alla posta e agli uffici pubblici, 15 euro; per farvi largo in metro e sul pullman, 50 euro; per liberare i tavoli di un ristorante affollato, 70 euro. L’ironia serve anche a esorcizzare la paura e nella memoria di Napoli c’è il colera che l’ha devastata insegnando a tutti che il falso allarme è più allarmante dell’allarme, come dimostra la nave della Costa Concordia fermata da un colpo di tosse a Civitavecchia. Alla fine sono più i sani che gli ammalati ad essere infilati negli scafandri: è successo al Cutugno di Napoli, a Bari, a Taranto… Siamo il Paese di Carlo Urbani, il medico microbiologo di Jesi che per primo lanciò l’allarme della Sars e sconfiggendola ne morì. Ed è veneziana la maschera dei dottori, antenata della mascherina: la “bauta” con il naso lungo. Si credeva infatti che quel naso, imbottito di certe erbe aromatiche avrebbe filtrato e pulito l’aria durante la visita ai malati nel Lazzaretto, che è il nome dell’isola veneziana delle quarantene.
Come accade con tutti i virus, anche quelli sociali, il pericolo arriva dalle piccole variazioni, che stanno appunto cambiando un paese mentre si espande l’epidemia. Del resto il razzismo diffuso è già un vizio maligno, una sottocultura nazionale, contro gli immigrati africani, i neri, i rom…. È vero che non siamo ancora anticinesi come il Giappone, dove ne hanno subito approfittato (#ChineseDon’tComeToJapan è il trending sul twitter) e neppure come il Vietnam (No more chinese because spread disease è l’inglese maccheronico di Danang), come Singapore, la Corea, Sumatra… Mai in Italia i cinesi si erano sentiti tanto a disagio, soprattutto sui treni, come ha raccontato Lala Hu che insegna marketing alla Cattolica di Milano: «Alla mia vista 2 passeggere ridacchiano e fanno commenti…».
I treni e gli autobus (Pesaro, Bari, Ancona, Milano) come insegna la storia del razzismo, sono i luoghi dove scoppiano più risse che altrove, il piccolo mondo recluso dove si scatena l’odio contro il diverso che ti sta accanto. Peggio dei treni oggi ci sono i social. E se a Lecce, giustamente, un professore di musica di ritorno dalla Cina è stato costretto dai suoi studenti a sottoporsi a controlli medici e a quarantena, irrazionale è stato il racconto che poi ne è stato fatto sui social. Il tam tam di WhatsApp ha trasformato il sospetto in malattia in stadio terminale e l’accertamento in contagio di medici. Così “il problema Cina” diventa “ossessione Cina”.
Ed ecco infatti Salvini che, dallo storico balcone del suo tweet, approfitta dei primi tre contagi in Italia per invocare lo sbarramento delle frontiere, e su Facebook con un ghigno e un grugno persino più grotteschi del solito, le gote gonfie d’aria e le occhiaie scavate dalla ruspa, vorrebbe chiudere i porti, fermare tutte le navi del mondo, maledire lo straniero anche se è evidente che i migranti in mare non c’entrano nulla con il coronavirus.
Salvini se la prende come al solito con la sinistra perché di nuovo vorrebbe che, in risposta al suo razzismo scomposto, noi santificassimo i virus, negassimo qualsiasi rapporto tra il contagio e i cinesi, che potrebbero diventare presto i nuovi Bingo Bongo della Lega, un inedito in Italia dove i cinesi sono integrati, operosi e rispettati. Mai prima d’ora erano stati untori, i soli non previsti dal Manzoni perché appunto li riconosci anche da lontano.