Tuttolibri, 1 febbraio 2020
La dura vita degli obesi nel romanzo della Rizzacasa
È una continua discesa e risalita, fra dolore e forza, questo esordio nel romanzo di Costanza Rizzacasa d’Orsogna Non superare le dosi consigliate. Titolo ingannevole, come le indicazioni del bugiardino di un farmaco. Ingannevole e bugiardino perché ti mette in guardia, sì, come di dovere, ma poi sta a te farne l’uso che vuoi. E le dosi si superano eccome, e la confessione, l’urlo, l’espulsione liberatoria premono e straripano a ogni capitolo. Capitoli che hanno i titoli dei foglietti illustrativi – indicazioni, principio attivo, posologia, precauzioni d’uso controindicazioni e interazioni, ecc – per una figlia della generazione più farmaceutica che ci sia mai stata, quella dei nati nel dopoguerra quando non si badava troppo agli effetti deleteri di certe abitudini e ancora non si sapeva bene della dipendenza pesante causata da certe sostanze. Qui il demone ha il nome di un lassativo, somministrato da una mamma con evidenti disturbi alimentari a una figlia amatissima ma caricata di aspettative e ansie di perfezione. E come si regge un peso del genere?
Crescendo a dismisura. Mandata in America a frequentare con profitto una delle più importanti università, Matilde studia, ha storie con uomini strani, eccelle, brilla, patisce, mangia, sta male fino a farsi ricoverare, lavora, cresce. E per crescere mangia, come da piccola, quando già tendeva alla bulimia. Mangia cose buone – bagel, cioccolata, pane, brioche, mac and cheese, cream of broccoli soup, muffin, fries – e mangia lezioni, libri, impegni, relazioni. Sempre legata, stretta stretta, alla sua mamma lontana, a questa famiglia d’origine così «disfunzionale» con padre che non dorme per lavorare e fratello sacrificato alla cura di tutti. Finita la sua formazione, torna in Italia, va a lavorare nei giornali e continua la discesa agli inferi.
Ingrassare e dimagrire. Abbottarsi e buttare fuori tutto, vomitando o purgandosi. Esaltarsi e svilirsi. Amare e odiare. Dire tutta la verità e mentire: Matilde passa per tutte le fasi, attraversa tutte le esperienze, non si risparmia niente. Viene umiliata e si umilia da sola. Mentre sta male, viene molestata, così come le era successo da piccola e poi da ragazza. Incontra un uomo atroce, un collega giornalista, che gioca crudelmente con lei. Per colpa sua, rinuncia a una gravidanza, a una famiglia, al sesso, a future storie. Si chiude in casa, lavora, scrive, mangia. Cresce ancora, arriva a 130 chili, è un’obesa.
Matilde racconta le offese a cui sono esposti i ciccioni, il diritto che si prendono le persone a insultarti, biasimarti, disprezzarti se vivi una vita al limite («Come se noi grassi non ci sentissimo già di merda tutti i giorni»). Sono pagine dolorose, senza scampo: «Siete mai stati così grassi da non riuscire a infilarvi le scarpe? Da non trovare scarpe che vi stiano, né reggiseni, né calze, né mutande? Così grassi da non potervi più infilare dei calzini o tagliarvi le unghie, o stare alla scrivania, perché la pancia crea un ingombro insormontabile? Così grassi da non potervi lavare, o grattare la schiena, da non riuscire ad asciugarvi dopo aver defecato, se non con grandi contorsioni? Così grassi che la carta vi resta incastrata tra le chiappe?». E per una donna, è peggio ancora perché le donne devono essere sempre in forma e bellissime. Così sono struggenti i racconti sulla difficoltà a comprare indumenti extralarge, i viaggi in aereo o in treno in sedili troppo piccoli, le osservazioni dei vicini, dei dottori, degli haters in rete. Perché i grassi diventano capri espiatori, vittime, freaks. E negli States gli avvocati possono dire di un uomo vittima di omicidio che sarebbe morto comunque presto perché grasso. «L’obeso può essere ammazzato perché vale meno», racconta Matilde.
Questo libro è il velo alzato su corpi di cui normalmente non si vuol parlare, che non si vogliono vedere. Costanza Rizzacasa lo fa per noi, senza falsi pudori e con voce potente di scrittrice.