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 2020  febbraio 01 Sabato calendario

Intervista a Silvio Orlando

Quando si racconta, Silvio Orlando si lascia andare ai ricordi, alla religiosità dell’esistenza, a scelte che sembrano vocazioni, e a sfide impossibili che in realtà sono grandi regali. «Non si studia mai abbastanza in questo mestiere», dice, e la voce si piega sotto il peso dell’esperienza. «Leggere un articolo del New York Times che parla di me mi è sembrato un fotomontaggio. Ma la vita, delle volte, è anche questo». Sul set di The New Pope di Paolo Sorrentino, in onda su Sky Atlantic e disponibile su NowTv e Sky on demand, prodotta da The Apartment-Wildside, ha incontrato John Malkovich: «Dire che siamo amici, forse, è esagerato. Ma abbiamo quasi la stessa età, e anche lui è un uomo di teatro, curioso, che è andato oltre il divismo. Jude Law, invece, è una divinità: è Apollo in Terra».
Con il suo personaggio, lei fa da ago della bilancia.
«Voiello vive nell’ombra, e anche io sono un po’ così. Non so se è perché non mi piace essere illuminato direttamente, o se è perché sono nato in un’estate caldissima e di sole ne ho preso troppo. Ma all’ombra si ragiona meglio».
Non le dispiace stare così defilato?
«Io sono un centrocampista: non butto dentro la palla, ma la faccio girare. E in questo credo di essere molto bravo: quasi indispensabile».
Il cardinale che interpreta è la vena comica, più sincera, di "The New Pope".
«È spiritoso, ma non simpatico. C’è qualcosa in lui che genera inquietudine. Incarna quella parte di puro cazzeggio che Sorrentino ha dentro di sé, insieme al tifo per il Napoli e all’umanità estrema».
È un uomo pieno di contraddizioni.
«Ci sono i registi che hanno l’ambizione di sbrogliare la matassa, di dire come va il mondo. Sorrentino invece lo ingarbuglia ancora di più: accetta la realtà per quella che è, e non cerca di spiegare quello che succede. Anzi, lui sembra quasi cercare il caos. E forse è per questo che nella chiesa si è trovato così a suo agio».
Lei è credente?
«Non riesco a dirmi fedele. Ma pensare che ci sia qualcosa che ci sovrasta, di più grande, è utile. Sono abbastanza sicuro che l’uomo lasciato a sé stesso, quando si convince di bastarsi, produca disastri».
Che rapporto ha con Napoli?
«La mia generazione ha sentito il peso dell’essere napoletani. È un’eredità enorme e insostenibile che ti limita, che quasi ti condanna. Tutto, se vuole, deriva da questa enorme speranza che c’è nei nostri confronti». 
E come si affronta?
«Io e Sorrentino siamo due napoletani molto simili. Proveniamo entrambi dal quartiere Vomero, che è molto distante dal cuore della città: la guardiamo dall’alto, e non sentiamo di farne parte fino in fondo, e questo ci ha aiutato a trovare anche altre cose: altre visioni, altri stimoli».
«Le radici sono importanti», dice la santa de "La Grande Bellezza".
«Ed è difficile staccarsene, e infatti, poi, ci ritorniamo sempre. Ma è necessario riuscire a non esserne schiavi e a tenere a freno le aspettative».
Quali sono i limiti che si è posto?
«Superati i 60 anni, ce ne sono talmente tanti che viene difficile elencarli tutti. Ci sono cose che materialmente non riesci più a fare, e più di una volta ti ritrovi a lottare contro i mulini a vento. Tra i 40 ai 50 anni ci si sente invincibili, ed è fondamentale stare attenti. Perché è in quel momento, quando ci si sente infallibili, che si commettono gli errori peggiori».
Non a 20 anni?
«A 20 anni si è ancora bambini, in qualche modo sei ancora puro, imbevuto di desideri e di sogni. Tra le persone ci sono soprattutto giochi di potere, e il potere è una cosa che senti quando sei più grande».
Perché ha deciso di diventare un attore?
«Sono stato scelto, direi. Salire su un palco ed essere al centro dell’attenzione è una sensazione bellissima, che per un tardoadolescente è tutto. Quello che vogliamo è essere amati. Ho sentito di avere un dono, un talento. E ho sentito che era unico e che non dovevo sprecarlo».
È stato difficile?
«Nel cinema c’è un elemento di imprevedibilità che è meraviglioso. Avessi visto cinque anni fa The New Pope, non ci avrei creduto. Ma oggi sono in un’età in cui riesco a guardare le cose da un’altra prospettiva. Credo molto nel desiderio, ma diffido dei sogni. Perché sognare mi sembra che porti spesso a una dimensione totalmente sganciata dalla realtà».
Lei e Sorrentino avete aspettato tanto per lavorare insieme.
«È una delle cose che mi sono detto anche io. Forse aspettava un personaggio che potesse ribaltare l’idea che le persone avevano di me. The Young Pope è stata una lenta conquista della fiducia di Sorrentino; credo che all’inizio fosse addirittura preoccupato. Con The New Pope, poi, si è affidato a me».
Ha rimpianti?
«Forse non aver provato a mettermi dall’altra parte della macchina da presa. Avrebbe aiutato a centrare la mia carriera, rendendola meno fragile ed esposta ai capricci e alle mode».
E invece qual è la sua soddisfazione più grande?
«Essere diventato l’attore che volevo essere quando avevo 18 anni: non averlo fatto a qualunque costo, ma restando fedele a me stesso».