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 2020  gennaio 31 Venerdì calendario

Quando la moda scoprì il fascino della divisa

Una divisa diventa moda nel momento in cui smette di essere un obbligo. Le divise servono a uniformare chi le porta, ad annullare la personalità, a sostituire al singolo la massa; solo perciò quando s’indossano per scelta diventano forma d’espressione.
Aveva colto il loro potenziale la solita Coco Chanel, che ha costruito la sua eleganza essenziale partendo proprio dall’uniforme dell’orfanotrofio nell’abbazia di Aubezine, dove aveva passato l’infanzia povera e sola. Nonostante i traumi, aveva capito la forza di quel modo di vestirsi tanto austero; ne aveva poi amplificato l’effetto aggiungendoci le tenute dei marinai, dando così alle donne quello che nemmeno sapevano di volere.
Ernesto Michahelles, in arte Thayaht, nel 1919 in nome del futurismo inventa invece la prima tuta “non da lavoro”; sicuro, il suo è un esperimento generato da un movimento artistico, ma ciò non toglie che avesse ragione a vederla calata nel quotidiano: lo dimostra la quantità di tute (da meccanico, da pilota, da imbianchino...) che si vedono in giro e nei negozi, e che non paiono per ora perdere terreno. In tema militare, non si contano le revisioni che Ralph Lauren, il più americano dei designer americani, ha fatto delle uniformi da marina alla Ufficiale e gentiluomo, mentre i canadesi Dean e Dan Caten di Dsquared2, con spirito patriottico, si sono concentrati sulle locali giubbe rosse. L’effetto è più da Grindr che da parata militare, ma è il pensiero che conta. C’è poi chi ha elaborato il concetto in modo più cerebrale: caso in esame, le infermiere che hanno aperto lo show p/e 2008 di Louis Vuitton, ispirate alle opere di Richard Prince e interpretate tra le altre da Naomi Campbell, Eva Herzigova e Stephanie Seymour. Opere d’arte a parte però, quello che il pubblico oggi ricorda sono quelle tenute bianche con le cuffiette coordinate: sono state loro a far parlare tanto.
Uno che ha sempre insistito sul concetto è Thom Browne, che non ha mai fatto mistero di volere fare uniformi, più che moda. Non si stenta a crederlo, visti i completi da collegiali in una realtà distopica che hanno fatto la sua fortuna. Il suo show a Pitti Uomo del 2009, con centinaia di dattilografi vestiti allo stesso modo, tutti impegnati a scrivere a macchina, ha giustamente fatto la storia. Una scena simile, sebbene in scala ridotta, la si ritrova anche nei suoi uffici di New York, dove tutti – lui per primo – sono tenuti a indossare la stessa tenuta, giorno dopo giorno. Coerente.
E poi c’è Martin Margiela, lo stilista senza volto. I suoi impiegati portano un camice bianco da laboratorio, per cancellare ogni gerarchia e lasciare spazio alle collezioni. Una scelta di vita che John Galliano, dal 2014 alla guida del brand, continua a rispettare. Per libera scelta.