Corriere della Sera, 31 gennaio 2020
Il Nord legge il doppio del Sud
«Non è vero che tutta l’Italia non legge. Il nostro Paese è diviso drammaticamente in due: al Nord il tasso di lettura è del 48,8%, al Sud e nelle isole del 23%. Un dato che rivela, una volta di più, la portata di una gravissima spaccatura nazionale». Ricardo Franco Levi lancia l’allarme. Il presidente dell’Associazione italiana editori (Aie) è ospite oggi a Venezia della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri. E qui, a poche ore dall’approvazione in Commissione Cultura del Senato del disegno di legge sul libro e la lettura, presenta i dati sull’andamento del mercato. Un’occasione per ribadire anche la sua preoccupazione per le nuove norme che prevedono, tra i punti cardine, un tetto agli sconti del 5%, contro l’attuale 15%: «La drastica riduzione dei margini di manovra sul prezzo del libro da parte di tutti i punti vendita, librerie, super e ipermercati, store online, peserà direttamente sui lettori e sulle famiglie».
Presidente Levi, qual è ad oggi lo stato di salute del libro?
«Il 2019 è stato un anno buono. Il fatturato scaturito dalla vendita dei titoli di narrativa, saggistica e ragazzi, in formato cartaceo ed ebook, è cresciuto del 4,9% rispetto al 2018, recuperando i livelli del 2011; le copie vendute sono aumentate del 3,4%. L’editoria italiana si conferma di gran lunga la prima industria culturale del Paese e la quarta in Europa».
Più volte però lei ha parlato della lettura come «emergenza nazionale». Le vendite mostrano il segno «più» ma si legge ancora troppo poco?
«I dati Istat ci dicono che solo il 40% degli italiani legge almeno un libro l’anno. Un dato sottostimato perché comprende esclusivamente titoli consumati per diletto e non a scopo professionale. In ogni caso, emerge un’Italia divisa in due. Una vera emergenza nazionale. Al Nord il tasso di lettura è più che doppio rispetto a quello del Mezzogiorno, mentre il centro si colloca intorno al 43,5%. Dati che diventano ancora più drammatici se si leggono assieme a quelli sul Pil pro capite: nel Sud e nelle isole quest’ultimo ammonta a 18.500 euro contro i 35.400 del Nord-Ovest e i 33.700 del Nord-Est».
Che cosa si può fare?
«Da parte nostra abbiamo lanciato #ioleggoperché, un progetto che ha portato finora oltre un milione di libri nelle biblioteche scolastiche da Nord a Sud e su cui continueremo a lavorare per renderlo ancora più capillare. Ma serve la politica, scelte di ampio respiro che, a partire dalla scuola, aiutino il Paese a crescere con particolarissima attenzione al Mezzogiorno».
Di recente la chiusura dello storico punto vendita Paravia di Torino ha riacceso l’attenzione su un’altra emergenza: la crisi delle librerie.
«Il loro valore è essenziale, prezioso, sia dal punto di vista commerciale sia come luoghi di presidio culturale e sociale. Ogni chiusura è una perdita sanguinosa, una ferita. Ma, detto questo, non possiamo non guardare in faccia la realtà: la crescita dell’ecommerce».
È giusto incolpare Amazon della chiusura delle librerie?
«Non c’è solo il gruppo di Jeff Bezos, esistono anche altri “negozi” online. Di sicuro concorrenti delle librerie, ma anche, per i lettori, un canale di acquisto in più. In anni recenti, inoltre, questi store hanno rappresentato un’occasione per i medi e piccoli editori, i quali non avrebbero avuto i mezzi per essere altrettanto presenti nei punti di vendita fisici».
Quale allora il punto di equilibrio?
«Le librerie sono un bene pubblico e come tali vanno sostenute con un aiuto pubblico. Un aiuto diretto, sotto forma di agevolazioni fiscali, di sostegno per gli affitti: strumenti già noti, ma ridotti a pochi spiccioli».
Due giorni fa il testo della nuova legge sul libro ha ottenuto il via libera dalla commissione Cultura del Senato. Le associazioni dei librai e gli editori indipendenti di Adei hanno espresso soddisfazione. L’Aie si è detta preoccupata.
«In un Paese in cui c’è bisogno che si legga di più, l’attuale disegno di legge finisce per danneggiare proprio i lettori e le famiglie: per difendere le più piccole librerie, questo testo riduce drasticamente lo spazio di manovra sul prezzo dei volumi, ma l’esito è di renderli più costosi per gli acquirenti. Questo rischia anche di fiaccare la domanda e di ripercuotersi sull’intero mercato, danneggiando tutti gli operatori. Proteggere le librerie più piccole è giusto, ma non può avvenire a spese delle famiglie e dell’intero settore. Perciò Aie, che è da 150 anni la casa dell’editoria italiana, di grandi e piccoli editori, di tutta l’editoria scolastica e universitaria, dell’80% della varia, ripete la sua preoccupazione per gli effetti delle nuove norme e chiede al Parlamento incentivi alla domanda. A partire dalla possibilità di detrarre dalle tasse la spesa per l’acquisto dei libri».
In termini di incentivo all’acquisto, ha funzionato negli anni scorsi la 18App, il buono per i neodiciottenni da spendere in consumi culturali.
«Per il 2020 la dotazione della 18App, di 290 milioni nel 2018, già portata a 240 milioni nel 2019, è stata ridotta a 160 milioni. In questo modo ogni neomaggiorenne avrà a disposizione non più 500 euro, ma solo 300. Una perdita pesante, tanto più che 18App rappresenta anche un deterrente alla piaga della pirateria. Lo scorso 22 gennaio abbiamo presentato insieme alla Federazione italiana editori giornali (Fieg) uno studio commissionato da Aie a Ipsos, secondo il quale la pirateria sottrae ogni anno al mondo del libro 528 milioni di euro, il 23% del valore complessivo del mercato».
Anche le fiere sono una forma di promozione della lettura. Punterete di più sul Sud?
«Daremo di sicuro una mano al Salone del libro di Napoli nel suo percorso di consolidamento. Avrà il patrocinio dell’Associazione italiana editori».
Tempo di Libri invece, la rassegna milanese, è definitivamente accantonata?
«Non si farà più. È una decisione presa in assoluta concordia con quello che era stato il nostro socio, Fiera Milano. Torino si è confermato il grande Salone nazionale del libro e due eventi simili, vicini nello spazio e nel tempo, non si giustificano. L’Aie stessa è tornata nel Comitato d’indirizzo del Salone».
A proposito di Torino, una vostra email ha riaperto la scorsa settimana il caso Altaforte.
«È andata così: sono venuti da noi gli organizzatori della parte commerciale del Salone dicendoci che avevano intenzione di proporre un filone professionale ai nuovi editori. Visto che abbiamo gli elenchi di chi apre una casa editrice, ci hanno chiesto una mano a spedire gli inviti. Ecco, in questi elenchi c’era una sigla di una società che si è rivelata collegata ad Altaforte. A quel punto, da Torino, gli organizzatori della parte commerciale hanno detto di non voler accettare la domanda di partecipazione di un marchio che sta facendo loro causa».
Il tema se sia lecito o meno escludere un editore da una fiera andrebbe comunque affrontato?
«Due giorni dopo quest’ultimo episodio Giulio Biino, presidente del Circolo dei lettori, l’ente partecipato dalla Regione Piemonte responsabile del programma culturale, ha detto di essere contrario a ogni censura. Noi come Aie, già l’anno scorso a Torino, avevamo detto che nessuna voce va soppressa. Allora tutto era avvenuto a ridosso dell’apertura, con il caso della superstite della Shoah Halina Birenbaum che sarebbe rimasta fuori dai cancelli. Quest’anno, essendo il problema già emerso, mi auguro che da qui a maggio venga risolto. Non spetta a noi, ma al Salone nelle sue componenti commerciale e culturale. Se ci chiederanno un parere, ripeteremo quanto detto l’anno scorso».