Corriere della Sera, 31 gennaio 2020
La settimana corta di Richard Nixon
«La settimana lavorativa di quattro giorni non è un sogno nè un invito alla pigrizia: è la semplice proiezione dei progressi economici che abbiamo fatto». Non sono parole di Richard Trumka, leader del maggiore sindacato americano, l’Afl-Cio, che ha appena proposto l’introduzione della settimana di 32 ore di lavoro divise in quattro giorni, né di Bernie Sanders o di Elizabeth Warren, i candidati alla Casa Bianca della sinistra democratica che «stanno esplorando» l’opzione di una drastico taglio dell’orario di lavoro, ma non ne hanno fatto un cavallo di battaglia dei loro programmi elettorali. Quella promessa fu fatta dal repubblicano Richard Nixon prima ancora di arrivare alla Casa Bianca. Era il 1956 e Nixon, allora vice di Eisenhower, il generale conservatore divenuto presidente, spiegò – decenni prima del «lavorare meno, lavorare tutti» della Cisl o delle 35 ore introdotte (con esito infausto) nella Francia del socialista Lionel Jospin – che il continuo aumento del reddito e della produttività ottenuti grazie al progresso, avrebbe consentito entro dieci anni di raddoppiare gli standard di vita e di tagliare l’orario di lavoro. L’obiettivo dell’aumento del reddito è stato centrato, ma quella riduzione – sempre dietro l’angolo fin da quando, quasi un secolo fa, John Maynard Keynes sostenne che entro il 2030 l’orario di lavoro sarebbe sceso a 15 ore settimanali – non è mai arrivata. L’avremo ora con la robotizzazione spinta e l’intelligenza artificiale che rimpiazza il lavoro intellettuale, oltre a quello manuale?
Nonostante i molti esperimenti in corso – da quelli scandinavi a Microsoft che ha provato, per periodi limitati, la settimana di 4 giorni in Giappone e, ora, in India, riscontrando forti aumenti di produttività – lo scetticismo, almeno negli Usa, rimane forte. Gli studi fin qui fatti dimostrano, infatti, che diminuire l’orario è difficile non solo per la resistenza dei datori di lavoro, ma anche per altri due motivi. Intanto perché (cosa che né Keynes né Nixon avevano capito) il lavoro è diventato per molti, soprattutto i professionisti più istruiti, l’elemento che maggiormente definisce la propria identità sociale, più della famiglia e degli altri legami comunitari. E, poi, perchè il progresso tecnologico automatizza molti compiti (come i lavori domestici) ma crea anche maggiori aspettative che, a loro volta, impongono più lavoro.