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 2020  gennaio 30 Giovedì calendario

335QQAFA10 Amitav Ghosh, i libri e le immagini

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Il protagonista del mio ultimo romanzo, Gun Island (L’Isola dei Fucili, tradotto da Anna Nadotti e Norman Gobetti, NeriPozza, 2019), è un commerciante di libri rari che sente un legame speciale con Venezia perché per secoli è stata il centro mondiale del commercio di libri. Venezia è anche la patria di Aldo Manuzio, fondatore delle Edizioni aldine e, dopo Gutenberg, forse il maggiore stampatore ed editore di tutti i tempi. Tra le sue più grandi creazioni c’è l’Hypnerotomachia Polyphilii, un testo sontuosamente illustrato considerato da molti il libro più bello che sia mai stato stampato.
L’iconografia era comune nei primi libri, anche se la stampa si diffuse in un’Europa percorsa dal fervore puritano e dallo zelo iconoclasta. Nonostante ciò, per diversi secoli l’immagine ha continuato a occupare un posto di tutto rispetto nella stampa. Ancora fino all’inizio del XX secolo l’inclusione di tavole illustrate in un libro era considerata un pregio. È stata la produzione in serie dei libri a ribaltare i criteri di giudizio. L’accessibilità economica è diventata il nuovo indice del fascino di un libro: e ogni aggiunta ai costi di produzione ha finito per essere considerata stravagante e inutile, persino frivola.
Questo ha rafforzato i pregiudizi dei puritani del testo che avevano sempre guardato di traverso la mescolanza di immagini e parole. A metà del XX secolo il trionfo del testo era completo. Per Dickens, era normale che le immagini fossero incluse in un romanzo; non così per Joyce o Hemingway. «Arte» e «Letteratura» hanno seguito strade separate e ogni scambio tra loro ha finito per essere considerato dannoso. Questa relazione è perfettamente riassunta dalla parola preferita dai media per le immagini: illustrazione. Quanto è diversa la connotazione delle parole «miniare» e «miniatura».
Fa riflettere oggi quanto profondi e potenti fossero questi pregiudizi. Quando ero ragazzo, i fumetti erano considerati una debolezza che impediva alla mente di svilupparsi pienamente. Si poteva essere puniti per averli letti. L’idea era che una mente che si abituava alle immagini sarebbe stata meno capace di elaborare idee difficili o astratte. Ma perché dovrebbe essere così? I matematici non fanno forse affidamento su simboli e figure? I dipinti di Caravaggio o i bassorilievi di Angkor Wat non devono forse essere «letti» in modi che richiedono molta riflessione?
Quello che sto cercando di dire è che la tecnologia della stampa ci ha indubbiamente portato molti vantaggi. Ma ha anche rafforzato il logocentrismo di una civiltà che già in partenza lo era. Di conseguenza, per gran parte del XIX e XX secolo, le attività di lettura e visione sono state completamente separate. E le Edizioni aldine sono in una certa misura responsabili della creazione di questa divisione, perché un’altra grande innovazione di Aldo Manuzio - il libro economico, destinato a un pubblico di massa - poteva essere prodotto a buon mercato semplicemente perché includeva pochissime illustrazioni o immagini.
Nel corso del tempo, libri di questo tipo hanno sostituito i testi miniati come standard per l’industria editoriale. In effetti, i testi che includevano immagini non sono più stati detti «miniati»; ma sono stati descritti, quasi in modo peggiorativo, come «illustrati». Nel 20° secolo gli scrittori più seri sarebbero inorriditi al pensiero di abbinare delle immagini ai loro testi: le parole dovevano essere isolate, come componenti supreme del pensiero e del significato.
Ma i tempi sono cambiati. Uno degli effetti paradossali di questa era di cambiamento climatico indotto dall’uomo - che a volte è definito «Antropocene» - è che ha contemporaneamente intronizzato e rovesciato l’uomo. La nostra consapevolezza del fatto che l’umanità sia diventata un agente geologico è nata come risultato diretto del risvegliarsi di molti altri agenti - dell’atmosfera, dei mari, dei ghiacciai e dei venti - che ora ci colpiscono tutti come per dimostrare che sono infinitamente più potenti di quanto una volta immaginavamo.
La stessa Venezia è un segno e un simbolo di questo: la città che una volta cavalcava con orgoglio le onde come La Serenissima è ora sarebbe meglio descritta come La Turbatissima.
Gli sconvolgimenti della Terra ci hanno costretto a riconoscere, ancora una volta, che siamo circondati da poteri e voci che non sono umani. Dico «ancora una volta» perché, ovviamente, i nostri antenati, a differenza di noi, lo avevano capito perfettamente. L’Iliade e l’Odissea; il Mahabharata e il Ramayana sono pieni di protagonisti non umani: danno voce agli animali e agli elementi; agli dei e ai demoni. Perfino l’Hypnerotomachia Polyphilii è piena di queste voci e di queste presenze. La modernità, nella sua lunga evoluzione, ha represso la nostra consapevolezza del non umano - e quella consapevolezza ora è tornata come una vendetta.
Stando così le cose, la domanda che ci si pone ora è: come possiamo noi, i cui sogni, aspirazioni e mezzi di sostentamento sono così strettamente legati alla cultura della stampa, rispondere a queste sfide?
Nel mio libro The Great Derangement (La Grande Cecità) ho suggerito che «pensare all’Antropocene sarà pensare per immagini, e questo richiederà una deviazione dal nostro abituale logocentrismo». E ho anche suggerito che uno dei motivi per cui il cinema e la televisione si sono dimostrati più sensibili ai cambiamenti climatici rispetto alla letteratura è proprio perché si occupano di immagini.Un libro come la Hypnerotomachia suggerisce una possibilità: tornare a una forma di espressione in cui parole e immagini si illuminano a vicenda.
Fortunatamente la stessa modernità ci ha fornito tecnologie grazie alle quali tali forme espressive possono essere realizzate facilmente ed economicamente - la rivoluzione digitale ha reso più facile che mai abbinare parole e immagini. Con Internet e lo schermo del computer ci ha anche fornito altri media attraverso i quali possiamo sperimentarle. Questi media hanno già, in larga misura, sostituito la stampa come luogo principale di espressione, ed è molto probabile che anche questo processo acceleri negli anni a venire.
Personalmente sono enormemente eccitato dalle possibilità che l’unione di parole e immagini ha aperto agli scrittori. Ho lavorato su un adattamento in versi di una leggenda bengalese che sarà pubblicata quest’anno in due versioni, con il titolo Jungle-nama. La prima versione sarà un testo miniato e la seconda un fumetto. —
Traduzione di Carla Reschia