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 2020  gennaio 30 Giovedì calendario

Periscopio

Violenza più ignoranza producono «vioranza». Dino Basili, Uffa news.
Il M5s è affetto da un declino inesorabile. Si apre quindi un’opportunità vera per imporre al governo un’agenda riformista: E la legislatura resterà in piedi, anche perché, dove vanno? Non credo che i cinque stelle abbiano tutta questa fretta di tornare a casa. Matteo Renzi (Francesco Bei), la Stampa.

Neppure la democrazia cristiana dei bei tempi fu mai in grado di raggiungere in Emilia-Romagna le percentuali raggiunte da Salvini adesso. Il quale, durante la campagna elettorale, ha fatto il ganassa, come si dice a Milano però ciò è normale. Chiunque partecipi a una competizione esibisce i muscoli. Per intimorire l’avversario non si mette in posizione supina. Ovvio. Vittorio Feltri. Libero.

Qualcuno di noi deve mettersi in testa che l’Emilia non è l’Italia. Roberto Speranza, ministro della sanità, Leu (Augusto Minzolini). il Giornale.

Nella Regione Emilia la sinistra non ha mai perso da mezzo secolo. Ma questa volta essa non ha trionfato che grazie alla scomparsa del M5s (antisistema). Le Monde, editoriale.

Al Nord la Lega fa la parte del leone, ma altrove no, si guardi alla Calabria. E Fratelli d’Italia continua a crescere di voto in voto, nutrendosi, con ogni probabilità, anche della stanchezza generata dalla sovraesposizione di Salvini. Giovanni Orsina. La Stampa.

Il segretario autoreggente del M5s, Vito Crimi, ha questa carriera: boyscout a Palermo. Non laurea in matematica, trova lavoro a Brescia come «assistente giudiziario» in Tribunale. Nel suo sito del governo racconta la sua specialità: «Organizzazione di eventi formativi per magistrati». Lui, pare di capire, i magistrati li formava. Renato Farina. Libero.

Vuol sapere se, noi leghisti, speravamo di vincere in Emilia-Romagna? Sì, perché sono proprio le speranze ad alimentare le imprese. Anche se sapevamo benissimo che, al momento del voto, gli elettori grillini avrebbero subito il richiamo della foresta ed avrebbero fatto vincere il candidato Pd come difatti è avvenuto. Giancarlo Giorgetti, vicesegretario della Lega (Ugo Magri) La Stampa.

Salvini, a differenza dei suoi alleati Meloni e Berlusconi, non ha ancora compreso che alimentare paure più o meno fondate, che da sempre è un’arma della destra, è ormai diventata l’arma principale della sinistra. L’unica differenza è che l’oggetto della paura, nella comunicazione di destra, è il migrante, mentre in quella della sinistra è Salvini stesso, il babau razzista, fascista, disumano aspirante dittatore e quindi da «cancellare», secondo la prosa di chi lo demonizza. Questo a mio avviso è stato il vero valore aggiunto delle Sardine: più che dare un’anima alla sinistra, come piace credere ai suoi dirigenti, le Sardine hanno provato a togliere l’anima all’uomo Salvini, ridotto a cosa indegna di esistere e quindi da eliminare. Luca Ricolfi. Il Messaggero.

Segnalo, per esperienza diretta, un sopruso mica male. Anni fa, chiesi il rinnovo del passaporto. Mi fu negato perché non risultavano pagate alcune centinaia di euro di spese, nel mio caso giudiziarie ma sarebbe lo stesso se tributarie ecc. In realtà era tutto a posto ma non figurava sui libri mastri per i consueti ritardi amministrativi. Non ci fu verso e per mesi, in base ai comodi dei contabili del tribunale di Milano, attesi il tempo necessario (per loro). L’assalto ai c/c bancari è un’ abnorme tutela che lo Stato pretende per sé sulla pelle dei cittadini, è puro autoritarismo. Non è necessario arrivare alle frustate in piazza, basta l’olio di ricino aromatizzato all’arancio che ci stanno propinando. Ditemi infatti se c’è proporzione tra un debito (inesistente) con una branca dello Stato e la sottrazione del mio diritto costituzionale di andare in giro a piacimento per il vasto mondo? Il Parlamento che ha introdotto una simile norma, arrossisca. Giancarlo Perna. la Verità.

La fine del Pci è stata per me una tragedia. Oltretutto la si è voluta accomunare alla fine dell’Unione Sovietica. Ma erano due cose ben distinte. Io non sono uscito dal Pci. È il Pci che è uscito da me. Nonostante questo ho cercato di restargli fedele. Non per ortodossia, ottusità, o nostalgia. Come quei vecchi reduci che non mancano occasione per piangersi addosso. In giro, a sinistra, ho visto prevalere l’autolesionismo che sovente si è trasformato in disprezzo per le classi meno abbienti. A parole tutti dicono di essere per l’uguaglianza e per la fraternità. Nei fatti invece mi pare che ci sia ancora molta strada da coprire. Il mio cinema, per quel poco che ha contato, ha marciato in quella direzione. Privilegiando il conflitto e la lealtà e non tacendo i problemi. A volte mi scopro pirandelliano: uno, nessuno, centomila. E la speranza, come si dice, è l’ultima a morire. Citto Maselli, regista (Antonio Gnoli), la Repubblica.

CARLO COTTARELLI, 8 – «Questa è una manovra di galleggiamento. Certo, meglio galleggiare che affondare. Ma è una manovra che non cambia niente. Il deficit rimane più o meno uguale a quello del 2019». L’economista che tagliò la spesa pubblica e che doveva diventare premier boccia i conti del governo Conte. Riassumendo con una frase che gli è cara, serve un sac de cul per uscire dal cul de sac. Stefano Lorenzetto. Arbiter.

Quando i fattorini del quotidiano l’Aurora, chiusi nell’Alcazar, che era uno sgabuzzino riservato solo a loro, giocano a scopone scientifico, che richiede il massimo della concentrazione, se le telescriventi annunciassero l’inizio della terza guerra atomica, il direttore lo saprebbe alla fine della partita, vincita, rivincita e bella, sempre che nel frattempo un missile non avesse distrutto il mazzo della carte, i giocatori, i fattorini e lo stabile. Lo scopone scientifico del resto non è un divertimento, ma una disciplina che costringe a star svegli, come i passi avanti e indietro di una sentinella. Guglielmo Zucconi, Il cherubino. Camunia, 1991.

Fece un cenno all’Alfiere per avere una seconda coppa di champagne. Per secoli lo champagne era stato usato solo per varare navi e matrimoni. Amor Towles, Un gentiluomo a Mosca. Neri Pozza, 2016.

Siamo restati tedeschi ma tedeschi diversi. Al punto che, qualche mese fa, a un matrimonio di amici in Germania ci siamo sentiti a disagio. Ci dicevano che siamo matti: due tedeschi a Milano! E poi in una città brutta. Invece l’anima mediterranea ci ha cambiato, anche nel lavoro. Abbiamo smussato gli spigoli teutonici. Catharina Lorenz e Steffen Kaz, designer tedeschi da 32 anni a Milano (Stefano Landi). Corsera.

Non basta guardarsi dentro. Bisogna capire anche cosa si cerca e far tesoro di quello che si trova. Roberto Gervaso. Il Giornale.