Corriere della Sera, 30 gennaio 2020
Emma: «Dopo il tumore mai più bionda»
Non sono ancora passati dieci anni da quando Emma Marrone è salita per la prima volta sul palco di Sanremo. Era il 2011 e in coppia con i Modà, all’Ariston, aveva da subito dimostrato che lei non era lì per passare inosservata: Arriverà conquistò immediatamente il secondo posto. L’anno dopo al Festival ci è tornata da big e vincitrice, con il brano Non è l’inferno. Stavolta Emma Marrone sul palco del teatro sanremese ci arriva da superospite («un atto di fiducia nei miei confronti» osserva lei), e si porta dentro un pezzetto di quell’«inferno» che cantava nel 2012 e che ora ha vissuto in prima persona.
Nell’intervista di copertina di 7, domani in edicola con il Corriere della Sera, la cantante nata a Firenze da genitori salentini («forse per questo non sento di appartenere davvero a nessun luogo»), racconta come ha superato il trauma del cancro alle ovaie, che l’ha costretta ad abbandonare le scene all’improvviso. «Non ho avuto timore di espormi troppo, condividendo con il pubblico la malattia: non potevo non dirlo, qualcuno aveva comprato voli e alberghi per esserci. Fosse capitato in un momento vuoto non avrei detto nulla». La paura («e c’è ancora, ogni tre mesi, quando devo fare le analisi»), la spavalderia per rimanere in piedi quando mancava la terra sotto i piedi («in sala operatoria sono entrata spaccona e baldanzosa») e la decisione di non tingersi più i capelli di biondo. «Dopo l’operazione i medici mi hanno detto di non farlo, così mi sono presa la libertà di metterli a riposo: potrei anche non tornare mai più bionda, mi basta sapere che sono bionda dentro».
Un’artista con un Dna da primadonna, come quelle protagoniste della mostra Sanremo 70, che racconta il Festival della Canzone Italiana delle ultime 69 edizioni attraverso il glamour degli abiti selezionati da Marvi De Angelis dello studio Marver: una carrellata di vestiti storici, raccontati in anteprima nel su 7, che saranno mostrati al pubblico domenica 2 febbraio al Forte Santa Tecla. Tra gli abiti che hanno fatto la storia dell’Ariston ci sono il vestito firmato Fernanda Gattinoni indossato da Flo Sandon’s nel 1953 e quello scelto da Iva Zanicchi nel 1969 realizzato da Gigliola Curiel. Pezzi del passato – come l’abito originale creato nel 1967 dalla sartoria Daphné per Dalida – e momenti iconici del presente, come il vestito con scollo a lancia Giorgio Armani Privé indossato nel 2018 da Michelle Hunziker.
Le donne sono al centro anche della storia che racconta la nuova vita dei caffè «misti» in Arabia Saudita: da Riad a Gedda si moltiplicano i locali dove uomini e donne possono sedersi insieme e chiacchierare. Una rivoluzione incoraggiata a Gedda dal figlio del re, Mohammad Bin Salman, diventato principe ereditario a soli 33 anni nel 2017, che ha detto di voler portare il suo Paese nel XXI secolo. Il numero di 7 torna sulla notizia rilanciata dal New York Times, ma in più accende i riflettori sulle contraddizioni di questo passaggio verso la modernità: il riferimento è agli arresti di giornalisti e dissidenti e soprattutto al caso eclatante del reporter Jamal Khashoggi, ucciso nel 2018 all’interno del consolato saudita di Istanbul per mano di quindici agenti arrivati in Turchia su due aerei privati.
La ricerca della identità fa da sfondo anche alle pagine di scienza che stavolta indagano un fenomeno poco conosciuto, quello delle «chimere»: individui con due Dna, spesso causati dall’assorbimento di un embrione gemello morto da parte di quello superstite. Come ciò possa accadere è spiegato in maniera semplice e spiazzante da un biologo molecolare: i trapianti, ma (temporaneamente) anche una trasfusione di sangue, fanno sì che le cellule del paziente vengano sostituite con quelle del donatore. Casi rari ma non impossibili, che potrebbero anche coinvolgere i tribunali. Quando per decidere sulla innocenza o colpevolezza di un imputato viene ritenuto decisivo il materiale genetico.