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 2020  gennaio 30 Giovedì calendario

Il cemento che si riparara da solo

Anche il più diffuso ed economico dei materiali edili può trasformarsi in un prodotto innovativo, migliorando la qualità delle case e delle città. È il caso del calcestruzzo, il conglomerato fatto di acqua, cemento, sabbia e ghiaia, sul quale si sta concentrando la ricerca scientifica.
Gli esperimenti più innovativi riguardano il self-healing, vale a dire la capacità del materiale di auto-rigenerarsi. Alcune sostanze e determinati batteri, uniti ai componenti tradizionali (vedi articolo a fianco), sono in grado di attivare processi chimici e biologici che riescono a richiudere le fessurazioni che talvolta si manifestano sulla superficie. Sono scongiurate, in tal modo, le deleterie infiltrazioni di acqua e umidità che, attraverso la corrosione delle armature interne, possono minare la solidità di pilastri, travi e pareti portanti. «Gli studi sono solo agli inizi, esistono solo esperimenti pilota», dice Claudio Mazzotti, professore ordinario dell’Università di Bologna e direttore del Centro interdipartimentale di ricerca industriale su edilizia e costruzioni dello stesso Ateneo. «Ma la direzione è quella giusta e potrebbe avere un futuro». Sempre nel campo della durabilità, speciali additivi polimerici riescono a ridurre la porosità del materiale: l’obiettivo è realizzare calcestruzzi che possano resistere 200 anni senza perdere le loro caratteristiche.
Esistono poi micro-calcestruzzi in grado di essere modellati grazie alle tecnologie della stampa 3D: si riducono i tempi di costruzione di pannelli e pareti consentendo contemporaneamente un controllo della qualità infinitamente maggiore rispetto alle lavorazioni in cantiere. La tecnologia potrebbe essere applicata, per esempio, alla costruzione rapida e a costi contenuti nelle regioni terremotate.
Un altro versante di studi riguarda la sostenibilità. La componente meno bio del calcestruzzo è sicuramente il cemento il cui impatto ambientale, in fase di produzione, è molto alto. Perciò si stanno sperimentando materiali, naturali o riciclati, che possano sostituirlo: silicati, polverini ceramici, geopolimeri a base di argille. Sul riutilizzo di materiali per sostituire almeno parzialmente sabbia e ghiaia le esperienze sono molteplici, dagli scarti provenienti dalle demolizioni al vetro e alla ceramica. Non mancano tentativi più coraggiosi, che prevedono l’introduzione di conchiglie e gusci d’uova.
Assortimenti granulometrici particolari, utilizzati per lastre di pavimentazione o sottofondi stradali, consentono di realizzare superfici drenanti: l’acqua filtra naturalmente nel suolo annullando l’impermeabilizzazione e aumentando la resilienza delle città a inondazioni e a eventi meteorologici estremi. Ancora sulla ricerca ambientale: è possibile aggiungere alle proprietà del calcestruzzo la capacità di assorbire il particolato aero-disperso che rende irrespirabile l’aria delle città.
L’innovazione procede anche sul tema delle armature, che, unite al calcestruzzo, generano il calcestruzzo armato. Una delle criticità maggiori è la corrosione degli elementi d’acciaio che riduc e le caratteristiche strutturali delle costruzioni. Barre o griglie in materiali compositi, fibre di vetro, di carbonio o di basalto e polimeri plastici possono sostituire l’acciaio. «Negli Stati Uniti la tecnologia è già ampiamente utilizzata perché consentita dalle norme tecniche», spiega Mazzotti. «In Italia finora abbiamo realizzato solo pochi esperimenti pilota: piccoli ponti e viadotti».
L’estetica è la terza via che sta trasformando il calcestruzzo in un nuovo materiale, sempre più versatile. Si possono realizzare calcestruzzi fotoluminescenti, capaci, cioè, di assorbire energia solare e restituirla come fonte luminosa. La fotoluminescenza è ottenuta attraverso un particolare processo termico che consente ad alcuni alluminati di aderire al vetro di riciclo. Altra proprietà applicabile al calcestruzzo, impensabile fino a qualche anno fa, è la trasparenza. La trasmissione della luce viene garantita dalla presenza di fibre ottiche in vetro o in materiale plastico inglobate al conglomerato: hanno un diametro che può variare da qualche micron a pochi millimetri e garantiscono una trasmissione della luce fino a 20 metri.