John Turturro ci tiene subito a dire una cosa: è un lettore appassionato di Philip Roth, «lo conoscevo personalmente — racconta — ho lavorato con lui, mi volle per un suo adattamento teatrale dopo avermi visto in Quiz Show di Robert Redford, nel 1994.
Ho letto tutti in suoi libri, compreso ovviamente The plot against America ». Forse, mentre lo leggeva, non immaginava che sarebbe stato tra i protagonisti della miniserie che Hbo ha tratto proprio da quel romanzo, Il complotto contro l’America , in onda in primavera negli Usa e in Italia su Sky Atlantic HD. Nel cast anche Winona Ryder e Zoe Kazan. S’immagina che negli Stati Uniti del 1940 Franklin D.
Roosevelt venga sconfitto alle presidenziali da Charles A.
Lindbergh (l’attore Ben Cole), aviatore tanto eroico quanto xenofobo e populista. Il nuovo capo della Casa Bianca stringe un’intesa con la Germania di Hitler e il Giappone di Hirohito, l’America diventa fascista, razzista, antisemita. La storia è raccontata dalla prospettiva dei Philip, una famiglia ebrea chiamata a diverse sfide tra cui quella, più grande, che dovrà affrontare quando Lindbergh scomparirà in volo e la Germania sosterrà che si tratta di un complotto sionista. Turturro è il rabbino Lionel Bengelsdorf, seguace di Lindbergh.
Qual è stato l’aspetto più difficile nell’affrontare questo adattamento per la tv?
«Ogni libro di Roth è uno stimolo alla riflessione, oltre che un piacere per il lettore. La difficoltà sta nel suo essere così intimista, ti fa penetrare nella mente del personaggio tanto da farti sentire il suo pensiero. Adattare tutto questo è sempre un rischio».
Questa storia è una riflessione sulla politica americana, sull’immigrazione italiana negli Usa, su ebraismo e antisemitismo, sulla democrazia. Non potrebbeessere più attuale.
«I protagonisti di Roth sono sempre ebrei ma le sue storie abbracciano ogni aspetto dell’esistenza umana. Lindbergh è l’opposto dei suoi “eroi”, per questo il personaggio del rabbino è così importante: riesce a navigare in una situazione complessa, a suo modo trama anche lui. Ma The plot parla anche di integrazione, è ambientato nel 1940 ma dal 1882, dopo la grande immigrazione ebrea dall’Est europeo, soprattutto dall’Italia e dalla Polonia, leamministrazioni Usa hanno sempre avuto la tentazione di chiudere le porte. Poi ha prevalso la filosofia dell’accoglienza. Il vero complotto è quello ordito da Trump, che vorrebbe tornare al passato».
Un passato che lei, con le sue origini italiane, conosce bene.
«Tutti sappiamo che in America gli immigrati italiani, i contadini meridionali, erano considerati dei subumani. Ma sono stati loro, la manodopera italiana, a costruire le grandi città americane. Fra quegli uomini c’era mio padre. Era nato nel 1925 a Giovinazzo, in Puglia, per anni fece avanti e indietro con l’America. Per sei anni provò a entrare, ci riuscì solo quando il governo stabilì le quote».
Invece il suo rabbino Bengelsdorf da dove viene?
«Credo che sia ispirato a un personaggio che Primo Levi tratteggiò ne I sommersi e i salvati , Mordechai Chaim Rumkowski, presidente del Judenrat, il consiglio ebraico nominato dai nazisti all’interno del ghetto di ?ód?, in Polonia, che allestì una “sua” Gestapo tutta di ebrei.
Bengeldorf me lo ricorda. Non ho fatto in tempo a chiederlo a Roth prima che morisse ma secondo me si era ispirato a quei racconti».
Trump avrebbe potuto diventare presidente nel 1940?
«Non credo, all’epoca dovevi essere un oratore eccellente soprattutto in radio, per farti ascoltare e far presa sulle masse. Trump ha una voce orrenda, un linguaggio volgare, da bullo di strada. Gli avrebbero riso tutti dietro».
Il suo prossimo impegno invece sarà in “The Batman”, con Robert Pattinson, sono appena iniziate le riprese.
«Faccio il cattivo! Amavo molto Batman da ragazzino ma in realtà il mio vero idolo era Zorro. Per anni, da bambino, mi sono immaginato con la spada, giravo per casa “infilzando” mio padre. Poi, quando Batman è arrivato in tv, mi sono appassionato: ho letto i fumetti, ora li leggono i miei figli... È entrato nella mia vita. Ma nel profondo rimango un fan di Zorro e di Douglas Fairbanks. Anche Antonio (Banderas, ndr ) non è stato male. E una volta, tempo fa, scrissi una lettera a Steven Spielberg dicendogli che avrebbe dovuto prendermi in considerazione se mai avesse fatto un film su Zorro. Credo sia rimasto molto sorpreso...».