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 2020  gennaio 30 Giovedì calendario

Il deejay che registra il suono dei ghiacciai

Catturare il grido della tempesta in mare, il lamento di un iceberg, dare voce all’onda più alta del mondo. Romain Delahaye, in arte Molécule, è un personaggio unico nel panorama della musica elettronica. Il deejay francese nato a Grenoble quarant’anni fa non solo compone i suoi brani usando suoni della natura, durante vere e proprie spedizioni da esploratore, ma registra e produce i suoi album in situ.

«Rifiuto il comfort di un normale studio di registrazione» spiega Molécule. Dai suoi trentaquattro giorni passati a bordo di un peschereccio francese è nato il primo album, 64°43’ Nord , la posizione più alta che ha navigato nell’Atlantico. Nel 2016 è uscito -22,7° C , record di temperatura negativa durante il soggiorno in un minuscolo villaggio di cacciatori in Groenlandia. Qualche giorno fa, Molécule ha presentato l’ultimo album, Nazaré , la località portoghese, paradiso dei surfisti, dove si trovano alcune delle onde più alte del mondo.
La sua musica è stata anche definita come “metasuono”. È una definizione che la convince?
«È il genere di definizione che piace alle case discografiche. Preferisco dire che compongo e produco musica elettronica in contesti in cui la natura è dominante».
Come si organizza?
«I miei viaggi durano di solito al massimo quaranta giorni. Le prime settimane mi prendo un tempo di osservazione. Ascolto e registro. Prima di arrivare, non cerco mai di sapere quale sonorità troverò sul posto, preferisco lasciare il mio orecchio libero. L’unica preparazione fondamentale riguarda le attrezzature che porto con me. Dai microfoni alle consolle, tutto deve essere ben studiato e adatto a situazioni climatiche estreme».
I brani nascono dall’incontro tra
lei e questi suoni?
«A poco a poco, raccogliendo il materialesonoro, comincio una sorta di lavoro da scultore. Poso una nota qui, un’altra là, in una sorta di escalation creativa. Alla fine, la fase diproduzione dei brani vera e propria dura un temporidotto. E di solito torno a casa con una quindicina di tracce tra cui poi scegliere».
Una volta tornato a Parigi fa qualche modifica?
«Mai. Sarebbe contrario alla mia missione artistica. I miei brani sono testimonianze sonore autentiche, perché rispecchiano l’anima dei luoghima anche il modo di lavorare in condizioni estreme, provando a superare limiti fisici e materiali».
È quasi un antropologo dei suoni.
«Ho studiato sociologia e antropologia. C’è qualcosa che mi avvicina all’immersione in culture diverse. Nel mio caso però i documenti sonori vengono interpretati artisticamente. Quando sono partito sul peschereccio immaginando di registrare il rumore della tempesta in mare sapevo che non avrei fatto qualcosa di scientifico».
Dove è nato l’amore per la potenza del mare?
«Mio padre è bretone. Ho passato le vacanze tra Dinard e Saint-Malo, guardando la linea dell’orizzonte, e pensando che un giorno sarei partito in esplorazione su una nave. Per qualche tempo la vita mi ha portato altrove. Sognavo di diventare un campione di basket Nba, poi ho avuto una brutta frattura. Ho fatto l’università e mi sono avvicinato alla musica in modo tradizionale, collaborando con diversi gruppi. Nel 2011 mi sono sentito abbastanza forte per lanciare un nuovo tipo di musica elettronica che in qualche modo soddisfacesse quella mia voglia infantile di avventura».
Quando si è imbarcato sul peschereccio come ha reagito l’equipaggio?
«All’inizio mi guardavano incuriositi e scettici. Dopo un po’ sono stati i marinai a darmi le indicazioni per posizionare i microfoni nei posti giusti, facendomi scoprire anche i rumori dei macchinari. Sono rimasto affascinato e li ho inseriti nell’album.
È stata un’esperienza forte, molto dura, abbiamo navigato in mezzoa tempeste forza 12. Per contrappasso, l’album successivo è dedicato al silenzio. Sono partito in Groenlandia, è stata un’esperienza più solitaria».
Da dove viene il nome Molécule?
«Volevo qualcosa di minimalista. La mia ambizione artistica è esprimere l’essenza delle cose . Vivere cose forti, ricercare l’adrenalina, mettersi alla prova, giocare con lamorte».
È quello che ha fatto nel suo ultimo album, Nazaré?
«Sì,ammetto che ho vissuto il più grande spavento della mia vita».
Perché l’ha fatto?
«Avevo visto le immagini di Big Mama in Portogallo (l’onda alta 35 metri, ndr ) e ho pensato: chissà che rumore fa. Solo che per ascoltare e registrare bisogna avvicinarsi. Ho lavorato su una moto d’acqua, guidato da ungruppo di surfisti. Ma ci sono stati diversi momenti in cui me la sono vista davvero brutta».
Il rumore di Big Mama era quello che immaginava?
«È qualcosa di terrificante, direi animalesco.Ancora oggi mi sveglio in mezzo alla notte immaginando di essere inghiottito a Nazaré. Ma la cosa più sorprendente è che, a un certo punto, la Grande Onda porta via tutti gli altri rumori e crea un inquietante silenzio».
Tra i tanti suoni naturali che ha scoperto e registrato, quale l’ha colpita di più?
«Mi è rimasto dentro lo scricchiolare degli iceberg in Groenlandia, il suono che fanno mentre sistanno sciogliendo. È quasi un gemito, un urlo di qualcuno che sta morendo e chiede aiuto».