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 2020  gennaio 30 Giovedì calendario

Brexit, da domani che cosa cambia?

Mentre ieri a Bruxelles, dopo aver approvato nella commozione generale l’accordo sulla Brexit, gli eurodeputati intonavano il celebre canto britannico Auld Lang Syne dal poema di Robert Burns, in questi giorni sono schizzate online le ricerche dei cittadini Ue alla domanda: «E ora che ne sarà di me? Cosa cambierà dopo il 31 gennaio?», cioè domani, il giorno del divorzio ufficiale della Brexit?
Migranti e turisti Ue
Innanzitutto: il primo febbraio paradossalmente non cambierà nulla, né per i lavoratori e residenti italiani ed europei in Regno Unito, né per i turisti. Questo perché alle 23 locali del 31 gennaio, lo storico momento in cui la Brexit sarà ufficiale, il Regno Unito entrerà in un “periodo di transizione” di 11 mesi, fino al 31 dicembre 2020, per negoziare con l’Unione Europea i rapporti futuri tra i due blocchi, rimanendo però nel frattempo ancorato alle attuali norme Ue seppur senza potere decisionale o deputati a Strasburgo. Quindi, per tutto il 2020, per entrare da turisti in Regno Unito sarà ancora sufficiente la carta d’identità e non il passaporto o un visto turistico, come accadrà invece dal primo gennaio 2021.
Lavoratori e residenti
I cittadini europei o italiani che già vivono Oltremanica devono iscriversi entro il 31 giugno 2021 al programma online “Settlement Scheme” per preservare i propri diritti nel Regno Unito. Se si è residenti da almeno cinque anni e si dimostra di essere in regola, di norma si ottiene la residenza permanente. Se invece si vive Oltremanica da meno tempo, si ottiene un permesso di soggiorno temporaneo fino a cinque anni. È consigliato registrarsi al “Settlement Scheme” il prima possibile perché dopo il 31 dicembre 2020, quando ci sarà il ritorno dei confini e la fine della libera circolazione, non è chiaro come le autorità di frontiera riconosceranno i residenti europei nel Regno Unito che hanno ancora diritto a richiedere la permanenza nei sei mesi successivi fin al giugno 2021. Importante: possono chiedere di restare tutti gli europei che si sono trasferiti nel Regno Unito entro il 31 dicembre 2020. Successivamente si applicheranno nuove e stringenti norme sull’immigrazione sul modello australiano “a punti” (basati su conoscenza della lingua, esperienze lavorative, etc).
Negoziati delicatissimi
In quegli 11 mesi di calma apparente, si terranno colloqui cruciali tra Regno Unito e Ue che stabiliranno i rapporti futuri tra i due blocchi. Sembra una questione tecnica, in realtà avrà conseguenze commerciali e geopolitiche determinanti. Il nodo principale è che Boris Johnson, dopo l’addio al Mercato unico e all’Unione doganale europea, dovrà giocare su due tavoli per raggiungere un accordo di libero scambio sia con l’Europa, sia con gli Stati Uniti di Trump, che non vede l’ora di guadagnarci circa cinque miliardi di dollari l’anno. Il premier britannico potrebbe ritrovarsi presto in un imbuto, perché Unione Europea e Stati Uniti divergono su molte norme di qualità e sicurezza, come sull’emblematico pollo lavato al cloro. Inoltre, Bruxelles esigerà regole molto stringenti da Londra sulla competitività (i cosiddetti Level playing fields ) e aiuti di stato affinché il Regno Unito non si comporti scorrettamente a scapito dei membri Ue. Secondo un recente studio dell’Fmi, se il Regno Unito dovesse ottenere un accordo favorevole, crescerebbe più di Francia e Germania, nonostante la Brexit.
Schiacciamento Usa
Ecco perché l’Ue difficilmente farà gli interessi di Johnson. A quel punto, il Regno Unito potrebbe schiacciarsi troppo sulle volontà di Trump, uno che alterna sempre bastone e carota. Non solo: gli Stati Uniti, in cambio di concessioni commerciali, potrebbero richiedere a Londra un “chiaro sostegno” alla loro politica estera, vedi su Iran e questione palestinese, spostando decisamente gli equilibri in Medio Oriente. Ecco perché questi negoziati saranno determinanti e Johnson potrebbe ritrovarsi politicamente stritolato: le aziende britanniche e non solo (ad esempio, la giapponese Nissan a Sunderland) spingono invece per un chiaro allineamento alle norme commerciali Ue.Tic toc
E poi il tempo già stringe. Undici mesi sono pochissimi per un accordo commerciale onnicomprensivo (Canada e Ue hanno impiegato circa 7 anni). Ecco perché Regno Unito ed Europa potrebbero trovare entro dicembre 2020 solo alcuni mini- accordi per evitare lo spauracchio del “No Deal”. Ma anche un’intesa minima non è facile: ci si scontrerà sulle priorità, come i servizi finanziari per Londra o la pesca al largo delle coste britanniche per l’Ue. Anche per questo, potrebbero essere sacrificati altri punti come l’Erasmus.