Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2020
Biografia di Luca De Meo
E, adesso, per Luca De Meo ci sarà la prova più difficile. Affrontare la complessità. Avere l’ultima parola. Trattare contemporaneamente una molteplicità di problemi. Essere un amministratore delegato. Il decisore di ultima istanza. Non ricevere – da altri – il compito di maneggiare una parte. Ma, invece, avere il dovere di plasmare il tutto. Nel pieno della rimodulazione generale di un settore che, da quindici anni, sperimenta trasformazioni radicali nella tecnologia e nelle attitudini dei consumatori. Nel pieno della transizione particolare di Renault, che deve misurarsi con la soluzione del rebus Nissan e sulla quale si staglia il fantasma carismatico e nero di Carlos Ghosn, il fuggitivo.
Luca De Meo – classe 1967, laurea in economia aziendale in Bocconi, sposato con Silvia e con due figli gemelli di 21 anni, Giulio e Matteo – è un car guy, un ragazzo dell’auto di ultima generazione: non è un ingegnere – come, invece, sono stati tutti i ragazzi dell’auto del Novecento – ma è invece un professionista che ha del prodotto una concezione non solo materiale, ma soprattutto immateriale, e che, partendo appunto dal prodotto, è arrivato a coagulare e a condensare l’automotive industry nel marchio, cuore strategico ed emotivo del posizionamento della casa automobilistica – di ogni casa automobilistica – sul mercato reale e nella realtà dell’immaginario.
La sua formazione è tradizionale e razionale. La sua identità è originale e creativa. Dopo gli inizi in Renault, lavora nel product management di Toyota Europe, assorbendone la strutturatissima cultura del processo aziendale: una esperienza con il Giappone che non potrà non essere utile anche adesso, di fronte al caos dei rapporti con Nissan. La sua identità personale, però, si forma ed emerge quando passa alla Fiat. Nel 2003, nella Fiat in condizioni prefallimentari, è fra gli autori del concept della Fulvia HF presentato al Salone di Francoforte, chiave simbolica ed estetica di un rilancio del marchio Lancia che, però, viene risucchiato nel gorgo della crisi. Nel 2004, arriva a Torino Sergio Marchionne.
E, allora, De Meo diventa uno dei suoi ragazzi, insieme ad Antonio Baravalle e ad Alfredo Altavilla. Con Lapo Elkann cura il lancio della Cinquecento, il primo empito di vita, il primo dito che si muove nel corpo comatoso e semiparalizzato della Fiat.
De Meo cresce, cresce, cresce. Il metodo Marchionne ha due tratti: dare autonomia e trattare con rudezza – per usare un eufemismo – i diretti collaboratori. E, questo, non è semplice per nessuno: anche per chi ottiene molti risultati. In un gruppo segnato da non poche complessità – l’operazione Alfa Romeo non ha le risorse adeguate, la chimica con Marchionne si assottiglia e perde forza – De Meo riceve nel 2009 l’offerta da Volkswagen. E l’accetta. Marchionne la prende male, anche se – pur con il fastidio del demiurgo che vede allontanarsi la sua creatura – ne riconoscerà sempre il talento brillante e la dedizione al lavoro. Una dedizione che si manifesta quando, nei quattro mesi prima dell’approdo in Volkswagen, si trasferisce in Germania a studiare il tedesco, così da potersi esprimere con i colleghi nella loro lingua. Non poco, per farsi accettare.
Il rispetto e la stima – prima di lui soltanto un altro italiano era riuscito a ottenere un risultato simile, il grande designer Walter De Silva – gli consentono in questi dieci anni di salire, salire, salire: la sua capacità di trasformare l’auto in un propulsore e in un propellente di emozioni e di significati ha ragioni estetiche, funzionali e tecnologiche. Con lui la digitalizzazione nell’interfaccia fra la macchina e il guidatore sulle Audi viene intensificata. Nel 2015 gli affidano Seat. E, in quel ruolo, completa il suo profilo.
Diventa un capoazienda. Di un marchio. All’interno di un colosso. Ma esercita un compito il più vicino possibile a quello che gli spetterà adesso.
In Seat ha tutte le leve e, appunto, modella il suo personale codice composto dalla sequenza prodotto-efficienza aziendale-strategia-posizionamento del marchio-contatto profondo con il cliente-risultati. A Barcellona affina la sua leadership educata e civile. Non ha tratti nerboruti e duri al limite del compiacimento, in un mondo dell’auto che ha invece tradizioni simil-militari e comportamenti proto-guerreschi. Adesso, la solitudine del comando spetta a lui. Lo aspettano i mercati finanziari e la dimensione pubblica francese. Gli azionisti e il “suo”, non di altri, piano industriale. La transizione verso l’elettrico e la guida autonoma. E, poi, Nissan, il giallo ancora in cerca di un autore in grado di scrivere un finale che non sia ambiguo e dannoso per la Renault.