Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  gennaio 29 Mercoledì calendario

Sono io la vera scrittrice MeToo

Nel corso della mia carriera, prima come avvocata e oggi come scrittrice, ho imparato che se le donne hanno un superpotere è il fatto che si parlano – nei bagni, davanti a un bicchiere di vino, a passeggio, in chat. L’esperienza mi suggerisce che agli uomini a volte piace ridurre spregiativamente questo aspetto («le donne parlano troppo», «non tacciono mai», eccetera...). Ma in realtà io credo che abbiano paura di quello che potremmo dire.
E sapete una cosa? Forse non hanno tutti i torti. Questa ovviamente non è una novità per qualunque donna si trovi al mondo da giusto più di una decina d’anni. Tuttavia nel 2017, con l’avvento del #MeToo, l’idea chele parole delledonne, incanalate in un unico coro, potessero dare origine a un movimento capace di infrangere il patriarcato, ha dato a tutte l’impressione di assistere a una rivoluzione.
A quel tempo avevo un impiego in un ufficio legale e scrivevo narrativa per ragazzi. Era il genere di storie che mi sarebbe piaciuto leggere quando ero un’adolescente, ma per essere sincera si trattava di un impegno che non richiedeva un serio scavo nella mia esperienza personale. Quando però cominciai a vedere donne di tutto il mondo postare le parole «Me Too» sui loro social media, avvertii come un sommovimento tellurico. Sentii l’urgenza di diventare un tipo di scrittrice differente da quella che ero stata fino a quel momento, una scrittrice meno… cauta. In un modo che potrei definire controintuitivo, la forza di questo nascente movimento sembrava dipendere dalla disponibilità da parte della donne a rendersi estremamente vulnerabili. È allora che mi sono detta: è arrivato il mio turno.
Accantonai nei progetti da finire la stesura del libro a cui stavo lavorando e cominciai a pensare ai possibili modi in cui questa collaudata e potente arma della resistenza femminile – il condividere le nostre storie vissute – avesse un impatto sulla mia stessa esistenza. Ecco perciò alcune delle cose cheho personalmenteimparato discutendo, chiacchierando o, più modestamente,spettegolando con altre donne: la collega più anziana che mi ha insegnato a confrontarmi con uomini che cercano di prendersi il merito di mie idee dicendo loro, con ostentazione del mio miglior accento texano: «Ehi, questa suona un sacco come quello che ho appena detto!»; l’avvocata di un altro studio che mi ha aiutato a essere strategica nell’annunciare la mia gravidanza onde evitare che questo avesse un impatto sul mio stipendio o sui miei bonus; o quella che mi ha insegnato a tenere una cartella di congratulazioni professionali ricevute, da usare in qualsiasi momento.
Molti altri elementi sono nati da un confrontoonesto tra colleghe: un’amica che si lamenta del fatto che i colleghi uomini hanno l’abitudine di inaugurare dibuon’ora l’happy hour scaricando su di lei il peso del lavoro rimasto per la giornata. Un’altra collega che racconta di come i suoi sottoposti uomini non abbiano la necessaria deferenza nei suoi confronti in quanto capo donna e delle difficoltà che ha nel disciplinarli. Ho appreso di uomini chehanno detto senza alcuna esitazione a delle donne che non sono più utili all’aziendada quando hanno avuto deifigli o, peggio ancora, che le donne che si mettono in maternità derubano l’azienda. E ho imparato così, col tempo, di chi fidarmi e come gestire qualunque situazione semplicemente parlando. Parlando con altre donne. Alla luce di tutto questo, ho compreso che il mio nuovo processo creativo avrebbe avuto lo scopo di distillare proprio questo genere di esperienze quotidiane in un ritratto il più efficace possibile di cosa significhi essere una donna qui e ora. Per farlo però, occorreva che io stessa aprissi le arterie della mia esistenza. Nella misura in cui il movimento proseguiva e si evolveva, capii inoltre che se da una parte ero grata del fatto che il mondo prestasse finalmente attenzione al problema delle molestie sessuali, ciò che a me stava realmente a cuore dire era «un momento! Ora che abbiamo la vostra attenzione, lasciateci raccontare alcuni problemi specifici delle donne sul luogo di lavoro!». Che è poi il punto da cui parto ogni mattina, nel momento in cui mi siedo al computer. Il mio lavoro è diventato duplice. In primo luogo voglio che le donne si sentano viste sulle pagina. Se scrivo «ci addormentammo con il calore del laptop che ci scottava le cosce» spero vi siano donne che leggendo possano dire «è esattamente così!» perché questo significa essere una donna e una madre che lavora. In secondo luogo, vorrei essere in grado di offrire un vocabolario e una prospettiva attraverso cui intavolare un dibatitto sui dettagli delle politiche di genere nell’ambiente professionale e oltre. Perché credetemi, il mio agire non è dettato dall’idea che frotte di uomini stiano accorrendo a leggere i miei libri, anche se, per quel che vale, penso che dovrebbero. Quello che forse posso cercare di fare, piuttosto, è armare le donne con parole utili a proseguire il dibattito. Ovviamente rimango profondamente consapevole del fatto che nessuno vuole stare a sentire delle prediche. Conosco bene la facile ironia con cui i detrattori possono liquidare le donne con termini come «piagnucolare» «strillare» ed «esagerare». Per questo credo quindi che si possa inserire un manifesto femminista anche in un thriller. In conclusione, oggi scrivo perché avere fiducia nelle altre donne non solo è necessario, ma una delle gioie più grandi della mia vita (c’è qualcosa di più gratificante di una cena interminabile con una – o meglio ancora quattro – delle tue amiche?).
Perché ci parliamo, condividiamo, entriamo in comunicazione l’una con l’altra, e così facendo mettiamo in discussione lo status quo. Che èpoi esattamente il mio approccio alla scrittura.
©Chandler Baker Traduzione di Giulio Caraci