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 2020  gennaio 29 Mercoledì calendario

Intervista a Alessandra Ferri

Eleonora Duse è lei. Lunghe chiome e veli fluttuanti, Alessandra Ferri si prepara a danzare vita, amori e dolori dell’attrice che fu musa di Gabriele D’Annunzio e poi di Stanislavskj che su di lei modellò il metodo di identificazione con il personaggio, reso celebre dagli attori hollywoodiani usciti dall’Actors Studio di New York. 
Creato ad Amburgo nel 2015 dal coreografo John Neumeier, Duse sarà alla Fenice di Venezia dal 5 al 9 febbraio. In scena con il Balletto di Amburgo, Ferri cesella sulle punte un’altra pioniera dell’arte, dopo la scrittrice Virginia Woolf. 
Quali punti di contatto ha trovato con Duse? 
«Molti. A partire dall’approccio al lavoro, spogliato degli artifici esteriori che non appartengono a un’arte che, per me, è percorso interiore, necessità di conoscersi e crescere, avendo il coraggio di essere fedele a me stessa, rendendomi vulnerabile e, allo stesso tempo, forte. Anche per me l’arte è stata un’ancora a cui aggrapparmi nei momenti difficili della vita». 
Secondo Neumeier, Duse è stata una figura rivoluzionaria perché ha imposto un’idea di donna emancipata e influente tanto da sostenere la carriera di D’Annunzio. Una prospettiva ribaltata rispetto alla credenza che vuole il Vate pigmalione dell’attrice. 
«Lo si capisce molto bene nel passo a due Duse-D’Annunzio: due colossi, uno contro l’altro, uno insieme all’altro. Il poeta torturava e tradiva l’attrice in una storia lunga dieci anni: ma era Duse a chiedere a D’annunzio di scrivere per lei. Senza Eleonora che interpretava le sue opere teatrali, Gabriele non era nulla». 
Fu un rapporto simbiotico tanto che Duse scrisse di D’Annunzio: «Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto perché ho amato». Si può amare così, oggi? 
«Certo. Ma qual è il vero amore? La passione travolgente che ti possiede fino a diventare una tortura? Ci innamoriamo sempre della persona che in quel momento ci rispecchia. Credo che l’amore, in realtà, renda liberi». 
Duse è stata la prima grande attrice moderna. Anche lei si è trovata a sperimentare nuovi linguaggi. 
«Credo che il mio approccio all’interpretazione sia rimasto lo stesso, da Giselle ai balletti di MacMillan: una recitazione reale, senza finzioni da pantomima. Anche per Duse, Giulietta e Dama delle Camelie sono stati ruoli fondamentali. Giulietta fu, anche per lei, il primo personaggio importante: una coincidenza interessante». 
Eleonora Duse odiava stampa e pubblicità. Anche lei all’inizio della sua carriera, era insofferente alla stampa. 
«È vero. Oggi sono cresciuta e riesco a essere più distaccata e non soffrirne più tanto». 
La sovraesposizione ai media, nel momento delicato della sua separazione da Fabrizio Ferri, si è rivelata terapeutica per lei? 
«No, assolutamente, solo penosa. Un’esperienza che avrei preferito vivere solo privatamente. Anche se so che le cose funzionano così e non posso farci niente». 
D’Annunzio ritraeva Duse anche nell’intimità. Lei, dal suo ex marito fotografo, si è fatta ritrarre senza veli. 
«Era molto diverso. Nelle foto del libro “Aria”, con Fabrizio avevo cercato di catturare l’essenza della danza, la sensazione del volo, dello spazio, di quello che un danzatore prova quando libera la propria fisicità. Uscire dal corpo, ballando. Il fatto che fossi nuda non era per mostrare il corpo: vestirlo sarebbe stato come imprigionarlo». 
In America fu definita «la Magnani della danza». 
«Fu un giornalista: l’etichetta mi restò attaccata a lungo. Ma non mi sono mai sentita Magnani: troppo drammatica, terrena. Soprattutto, troppo romana». 
La invitano negli Stati Uniti a insegnare «L’arte del pas de deux». Su quali elementi si basa l’arte della coppia? 
«Sulla conoscenza di sé stessi. Senza, non esiste una coppia alla pari, non c’è vera condivisione. Rispetto e fiducia nell’altro, sicurezza di sé, limiti e debolezze inclusi. Perciò è così difficile. L’arte della coppia è la scommessa di una vita».