Corriere della Sera, 29 gennaio 2020
Giornalista sospesa per il tweet su Kobe stupratore
WASHINGTON Ricordatevi che era anche uno stupratore. I tweet di una giornalista del Washington Post, Felicia Sonmez, smuovono altri sentimenti in morte di Kobe Bryant, il grande campione del basket americano. Poche ore dopo lo schianto dell’elicottero, domenica mattina, in cui sono rimaste uccise nove persone, compresa «Gigi», la figlia tredicenne di Kobe, Felicia Sonmez ha postato un articolo del Daily Beast, pubblicato nel 2016, che ricostruiva le gravi accuse rivolte a Bryant. Il caso risale al luglio 2003. L’allora venticinquenne stella dei Los Angeles Lakers ebbe un rapporto sessuale con un’impiegata di un albergo in Colorado. Lei, 19 anni, lo denunciò, sostenendo di essere stata violentata. Bryant venne arrestato, rilasciato su cauzione e in una conferenza stampa presentò la sua versione: la relazione era stata consensuale.
L’indagine giudiziaria andò avanti per un anno e mezzo. Ma alla fine la donna decise di non testimoniare. Il 1 settembre 2004 il giudice del Eagle County District lasciò cadere l’imputazione. Quello stesso giorno Kobe diffuse un comunicato in cui si «scusava per il suo comportamento e per le sofferenze procurate». Ecco le sue parole: «Sebbene io creda davvero che il nostro rapporto fosse consensuale, ora mi rendo conto che lei non pensava che lo fosse». Ultimo dettaglio importante: nel marzo del 2005 l’atleta chiuse la causa, versando alla giovane un risarcimento, si disse, pari a 2,5 milioni di dollari. Questa è la vicenda che la giornalista Felicia Sonmez ha ritirato fuori perché, ha spiegato, mancava qualcosa di fondamentale nella ricostruzione della personalità di Bryant.
La direzione del Washington Post, però, ha censurato la nota fuori dal coro: «I suoi tweet mostrano una scarsa capacità di giudizio e danneggiano il lavoro dei suoi colleghi». La reporter è stata messa in riposo forzato e retribuito. Subito si è aperto un confronto, riportato sulle pagine del giornale. Il sindacato interno si è schierato con la collega punita, invocando la tutela di opinioni diverse. Barry Svrluga, commentatore sportivo, ha riconosciuto la necessità di ricostruire nella sua «complessità» la storia, anche personale, di Kobe Bryant.
L’uscita di Sonmez chiama in causa il compito più difficile dell’informazione: la necessità di non omettere nulla, anche quando può essere impopolare o doloroso. Molti lettori, però, hanno reagito sulla rete come fosse una provocazione inaccettabile. Felicia ha ricevuto numerose minacce di morte. Tanto che ha preferito passare una notte in albergo. Ma tante donne, tante vittime di abusi sessuali rimasti impuniti, le hanno inviato messaggi di ringraziamento. Nello spirito del movimento Me Too. L’attrice Evan Rachel Wood ha commentato: «Ho il cuore spezzato per la famiglia di Kobe. Era un eroe dello sport, ma anche uno stupratore. Queste verità possono esistere contemporaneamente».
È chiaro che qui la questione non è incardinare un processo postumo a «Black Mamba». Ma il dibattito all’interno del Washington Post è un segnale del cambio di passo nella discussione pubblica sulla violenza sessuale.