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 2020  gennaio 28 Martedì calendario

Periscopio

Sultano e Zar sono tornati nelle cronache. A quando Kaiser e Gran Khan? Dino Basili, Uffa news.

Se Moira Orfei fosse ancora con noi qui, oggi potrebbe diventare Nilde Iotti. Enrico Bertolino, comico, Circo Minimo.

L’ironia che non fa ridere di Diego Bianchi, Zoro, la finta concitazione in video di Corrado Formigli o il politically correct di Lilli Gruber non fanno altro che far perder ascolti ai loro programmi su La7. Stefano Bini. Libero.

Perché se Salvini ferma una nave carica di immigrati vìola i diritti dell’uomo ma se la stessa cosa la fa la ministra Lamorgese e un governo di sinistra (ottobre 2019, caso Ocean Viking, 100 persone di cui 48 bambini lasciati in mare dieci giorni senza permesso di attracco) non avete nulla da obiettare? Alessandro Sallusti. Il Giornale.

I grillini hanno fatto di Salvini un martire. E le Sardine continuano a marcarlo a uomo. Il Papeete nell’immaginario progressista ha preso il posto del bunga bunga. Ma una simile abbuffata di salvinitudine non finirà per portargli più voti di un digiuno? Se nei prossimi giorni dovessimo assistere al miracolo di Salvini che passeggia sulle acque emiliane del Po, non lasciamoci ingannare dalle apparenze. Probabilmente starà camminando sopra un banco di sardine. Massimo Gramellini. Corsera.

Non uso computer e giro al largo «dall’inferno di Internet». Gavino Sanna, pubblicitario (Paolo Baldini). Corsera.

Pur avendo interpretato, come pochi altri sullo schermo, la figura del ribelle, dell’uomo che non scende a patti, a volte del giustiziere, sempre dell’outlaw, del fuorilegge, del fuoricasta, nella vita, Eastwood ha rappresentato l’esatto contrario. Non è mai stato un contestatore, non è mai stato un agitatore, non è mai stato un sovvertitore. Non gli si conoscono eccessi di droga, non gli si conoscono eccessi di alcol, eccentricità, bizzarrie, manie. Stenio Solinas. Il Giornale.

Fui svegliato alle 3,20. Il primario dell’ospedale Santa Giulia mi stava mandando questo giovane di 19 anni, uscito di strada in motorino, in preda a un’emorragia imponente, che non si riusciva ad arginare. Mezz’ora dopo ero in sala operatoria. Al ragazzo avevano già trasfuso cinque sacche di sangue. Ne aspirai dall’addome tre litri. Il flusso non si arrestava, faticavo persino a vedere gli organi interni. Provai a suturare il fegato ricucito dal collega. Era spappolato, solo a toccarlo si lacerava ancora di più: dovevo rassegnarmi a lasciarlo morire. O tentare un trapianto. Ma né il Centro nazionale di Roma né quello di Parigi trovavano un organo. «Lo ha qui di fronte», esclamò Marina, la fidanzata. «Prelevi metà del mio fegato e lo dia ad Alex». Lei è pazza, replicai. M’insultò: «La denuncerò». Fu così che mi balenò un’idea: togliergli il fegato per bloccare l’emorragia, in attesa di un donatore. Un proposito al limite della follia. Me lo dissero i miei assistenti. Risposi: mi assumo ogni responsabilità, scrivo sulla cartella clinica che voi non siete d’accordo. Procedetti all’espianto, sicuro di porre fine alla mia carriera, perché temevo che in quelle condizioni il malato non vivesse per più di 120 minuti. Invece resistette 25 ore, finché il mio aiuto non volò in Austria a prelevare il fegato di un anziano di 78 anni morto a Graz. Che il trapianto era perfettamente riuscito. Passati 15 giorni, lo dimisi. Mi confessò la causa dell’incidente: «Da Lodi, dove faccio il dj, tornavo a Melegnano sbronzo, come ogni notte». Mi giurò solennemente che si sarebbe astenuto per sempre dall’alcol. Quattro anni dopo venne a trovarmi la fidanzata, con il viso gonfio: Alex era tornato a bere, la picchiava. Un giorno mi telefonarono dall’ospedale di Melegnano per dirmi che era stato ricoverato con una grave emorragia gastrica ed era morto nel giro di 45 minuti. Luigi Rainero Fossati, chirurgo, 692 trapianti di fegato (Stefano Lorenzetto). Corsera.

A colpi di manganellate, olio di ricino e deportazioni, la storia andò così durante il fascismo. Vietato in Alto Adige parlare tedesco, vietate le scuole e i giornali in lingua tedesca. Nei tribunali e nei rapporti con lo Stato c’era solo una lingua: l’italiano. Vennero italianizzati a forza i cognomi (a Merano avevamo un anziano vicino, un signore molto gentile con noi bimbetti, che si chiamava Rudolf Hartmann: in quegli anni bui gli era toccato di essere ribattezzato come Rudolfo Artmano, e la cosa sarebbe stata comica, se non fosse stata tragica), i nomi dei paesi, la geografia della regione intera. Compressi i diritti e l’identità della comunità tedesca, il fascismo tentò anche di ribaltare i rapporti demografici ed etnici della piccola regione, con un’italianizzazione di massa. A Bolzano arrivarono le industrie, e con loro l’immigrazione di famiglie provenienti dal Veneto e dal Mezzogiorno, attratte dagli incentivi offerti per andare a «colonizzare» i barbari. Maurizio Pilotti. Libertà.

Dopo essersi fatto riprendere per mesi nell’atto di abbracciare prosciutti e corteggiare tortellini, Matteo Salvini ha cambiato modello di riferimento: da Cannavacciuolo a Gandhi, per tacere di Pannella. Già i maglioni neri girocollo da prete lasciavano intuire un approccio più spirituale all’esistenza. Ora il misticismo salvinizzante culmina nell’astinenza digestiva. E non per questioni laterali come l’indipendenza dell’India o la legge sul divorzio, ma per una nobile causa che riguarda l’umanità intera: se stesso. Massimo Gramellini. Corsera.

Talvolta, i giornali dominati dalla fretta preparano in anticipo articoli su un caso che avverrà. Principe dei preconfezionati giornalistici è il Coccodrillo, omaggio a un morto illustre che sarà pubblicato all’indomani della sua scomparsa. Essendo un articolo scritto prima del doloroso evento, è chiamato come il lacertiforme che, fingendo un dolore che non prova, versa lacrime mentre divora la preda. Non è che noi giornalisti ci divertiamo a fare coccodrilli. Certo, però, ci vuole cinismo per scrivere di un uomo vivo come se fosse un morto. Giancarlo Perna. LaVerità.

Mi ha stupito l’assenza di Palazzo Chigi ad Hammamet a 20 anni dalla morte di Craxi. Basti pensare che lo stesso D’Alema mandò Marco Minniti in sua rappresentanza al funerale di Craxi. Davide Faraone, capogruppo al Senato di Italia viva (Pier Francesco Borgia). Il Giornale).

È bello, ma anche inquietante, l’attaccamento dei lettori ai protagonisti dei gialli. I loro autori non possono farli morire, altrimenti ricevono e-mail di insulti e di minacce. Gino Vignali, scrittore umoristico (Annarita Briganti). la Repubblica.

La politica è l’arte di mentire anche quando si dice la verità. Roberto Gervaso. Il Giornale.