Lei dice che, al giorno d’oggi, tutto è politico e che bisogna essere sinceri sulla disonestà. In che senso?
«Nel dibattito economico molti costruiscono argomentazioni in modo poco onesto, distorcono o falsificano i fatti, servono fondamentalmente gli interessi di un gruppo. Per esempio, non troverete degli economisti onesti che dicano che un taglio delle tasse si ripagherà da solo (come Trump ha promesso). Abbiamo molti esempi del fatto che non è così, ma la gente continua a dirlo».
L’economista Dani Rodrik, una volta, spiegò che il successo economico degli Usa era dovuto al fatto che il pragmatismo vince sempre, e che la politica è protezionista, liberale o keynesiana in base alle necessità. Condivide?
«Gli Stati Uniti hanno avuto la tendenza ad essere pragmatici, ma non sono sicuro che siamo ancora quel Paese. Ecco perché nel mio libro parlo di idee zombie: ci sono molte cose che sappiamo che non funzionano, ma la gente continua a dirle per motivi politici».
Lei lavorò come economista per l’amministrazione Reagan, cosa ricorda di quei giorni?
«Fu divertente. Ero un tecnocrate, responsabile dell’economia internazionale nel Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca, e Larry Summers era direttore del Consiglio economico nazionale. Eravamo due democratici dichiarati, e lavoravamo su questioni tecniche. Probabilmente, l’amministrazione Reagan fu peggiore delle precedenti. Fu una grande rottura nell’orientamento dell’economia americana, verso una maggiore disuguaglianza e con il crollo del movimento dei lavoratori. Non ci siamo mai ripresi».
Molti mettono in evidenza anche il consenso degli anni Novanta (con Clinton) alla globalizzazione. Lei stesso ha cambiato il suo punto di vista.
«Continuo a credere che la globalizzazione, nel complesso, abbia funzionato bene. Globalmente ha fatto più bene che male. Ha permesso l’ascesa delle economie povere a un livello di vita dignitoso. In seguito, ha comportato anche un fattore di disuguaglianza in alcune comunità negli Usa».
La crisi industriale è spesso usata per spiegare l’ascesa del trumpismo. Secondo lei c’entra anche con il risveglio del socialismo?
«Non credo che in realtà ci siano troppi socialisti negli Stati Uniti. Molti di quelli che si definiscono socialisti sono in realtà dei socialdemocratici. Negli ultimi sessant’anni, ogni volta che qualcuno ha proposto qualcosa che potrebbe rendere più facile la vita delle persone, i gruppi di destra l’hanno definito socialista, quindi alla fine molti dicono: “Se quello è il socialismo, io sono socialista”. Alexandria Ocasio-Cortez, per esempio, rappresenta un insieme di persone istruite in una zona molto democratica. Sanders dice: “Voglio che diventiamo come la Danimarca”, ma la Danimarca non è socialista, è una solida socialdemocrazia».
Si parla molto della svolta a sinistra del partito democratico. Pensa che si spingano troppo oltre?
«No, anche se Bernie Sanders diventasse presidente, il suo programma sarebbe più graduale.
Sono un po’ preoccupato per il fatto che i democratici vengano dipinti come radicali. Molte delle cose che sostengono, anche quelle più di sinistra, come l’aumento delle tasse ai ricchi, l’espansione del welfare o l’assistenza sanitaria pubblica – senza eliminare le assicurazioni private – sono molto popolari tra la gente».
Lei dice che aumentare le tasse ai ricchi è popolare. Chi è ricco? Lei dovrebbe pagare più di quanto paga?
«Dipende. Elizabeth Warren vuole andare a caccia di quelli che hanno più di 50 milioni di dollari, che sono chiaramente ricchi. Obama aumentò le tasse. La sua riforma sanitaria è stata pagata in gran parte con l’aumento per chi guadagnava più di 250 mila dollari all’anno. Questa tassa della Warren sulle grandi fortune non mi riguarderebbe, ma qualsiasi democratico che faccia le cose che vorrei vedere nella politica economica alla fine avrebbe bisogno di farmi pagare più tasse. E questo va bene. Non sono un santo, ma sono disposto a pagare più tasse per avere una società più sana».
Il cambiamento climatico è ancora, in qualche modo, sottovalutato come rischio per l’economia.
«È la questione più importante. Abbiamo due problemi: uno, che abbiamo un partito repubblicano negazionista, e l’altro, che... se Dio voleva creare un problema davvero difficile da combattere prima che giunga una catastrofe naturale, questo è il cambiamento climatico. È graduale e tende ad essere invisibile fino a quando non è troppo tardi. Progredisce e ogni volta che non interveniamo, peggiora. La questione è quali paesi possono fare degli sforzi per risolverlo. Se avessimo una forte leadership negli Stati Uniti, avremmo potuto mettere in atto un intervento efficace. Quindi fa abbastanza paura. Le probabilità di una catastrofe sono piuttosto alte».
(© EL PAIS/LENA. Traduzione di Luis E. Moriones)