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 2020  gennaio 28 Martedì calendario

La rete delle frodi sui carburanti

Celle frigo per trasportare il latte così da viaggiare anche di domenica, cisterne nascoste sotto ai teloni e container modificati con tanto di vasche all’interno. Formano una colonna infinita in ingresso dal confine sloveno, carica di un oro due volte nero. Il traffico illecito di benzina e gasolio è una delle più importanti frodi fiscali in Italia. Un bottino che il governo vuole aggredire subito, perché è questo il sistema più rapido per fare il pieno alle finanze statali: mentre la lotta alle altre forme di evasione ha tempi lunghi per incassare, qui ogni litro in meno tolto dal mercato clandestino garantisce profitti immediati all’erario. L’obiettivo è recuperare oltre un miliardo entro l’anno.
La strategia è bifronte: maggiori controlli e nuovi sistemi informatici, introdotti dal decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio. Da quest’anno sarà operativo anche il documento di trasporto elettronico (e-DAS) per i prodotti già tassati. Era stato introdotto nel 2006 e ci sono voluti ben quattordici anni, mentre il mancato incasso delle accise continuava a crescere fino a raggiungere il 10% del totale dell’evasione. «Nel 2017 ha pesato per oltre due miliardi, poco meno di un decimo della manovra finanziaria. A cui si deve aggiungere anche il mancato pagamento dell’Iva. Da gennaio 2018 a maggio scorso abbiamo sequestrato oltre 6 milioni di litri di carburante e solo a luglio dello scorso anno a Napoli altri sei», ragiona Luigi Vinciguerra, il colonnello della Guardia di Finanza a capo dell’Ufficio tutela entrate del Comando generale.
La pressione fiscale su benzine e gasoli è tra le più alte d’Europa: riuscire a ingannarla offre profitti senza pari. Che in tanti sfruttano. Quando infiliamo la pistola nel bocchettone dell’auto c’è una possibilità su tre che stiamo finanziando un’organizzazione criminale. I fiumi di petrolio partono da paesi come la Libia. Le navi salpano alla volta di Malta e lì, grazie a una legislazione poco trasparente, basta un timbro per rendere legale il gasolio. Altri carichi arrivano via terra, dall’Est Europa dove associazioni a delinquere senza confine hanno messo in piedi un business da milioni di euro. C’è chi miscela la benzina con solventi chimici per vernici in modo da abbatterne il costo, chi la fattura a prestanome che non versano l’Iva. E poi chi impianta stazioni di rifornimento clandestine con tanto di colonnine e pistole erogatrici mobili montate su carrelli della spesa fino alle complicate cartiere gestite da broker internazionali per trattare petroliere fantasma. «Ormai non facciamo più i contadini, ma gli autotrasportatori», spiega un camionista slovacco. Un viaggio a settimana gli consente di guadagnare lo stipendio di un mese. Dichiara di trasportare olio lubrificante così da non pagare le accise e l’organizzazione per cui lavora gli agevola il compito: sul percorso ha schierato due vedette pronte ad avvertire della presenza delle forze dell’ordine. Del resto «il contrabbando di petrolio è conveniente come il traffico di droga, in più le pene sono più basse», ammette il colonnello Antonino Magro, comandante della Guardia di Finanza a Gorizia. Tutti i giorni i suoi uomini cercano di bloccare decine di autocisterne clandestine e pericolose anche per la sicurezza stradale. Sono dirette a Brescia, a Latina, al Sud. Pedinandole fino a Cerignola, in Puglia hanno scoperto una masseria trasformata in stazione di rifornimento. Il prezzo: meno di un euro al litro. Il numero delle cisterne in ingresso dai valichi goriziani è triplicato in due anni, ben 29 mila solo quelle regolari. Un movimento sospetto perché il costo del trasporto non è affatto conveniente. E infatti solo nel 2018 le Fiamme Gialle hanno sequestrato oltre due milioni di litri e l’Agenzia delle Dogane l’anno dopo, in dieci mesi, ha già accertato più di 13 milioni di euro evasi.
Quanto alle tracce dei soldi, spariscono dietro una serie di prestanome: falsi documenti intestati a società di comodo, spedizioni fittizie dirette a società cipriote, greche o maltesi per giustificare il loro transito sul territorio nazionale. E poi aziende che esistono solo sulla carta. Dichiarano di acquistare grosse forniture per rivendere all’estero così da non pagare l’Iva. In autunno a Salerno hanno scoperto una frode da 48 milioni. A Napoli in soli tre mesi, da febbraio a maggio dello scorso anno, un’organizzazione è riuscita a far sparire oltre 17 milioni di accise e altri 50 di Iva. «Le navi scaricavano il petrolio nel porto destinato a società che simulavano di essere esportatori abituali e invece lo distribuivano a una rete di stazioni di servizio compiacenti. È un’emorragia continua» chiarisce il generale Gabriele Failla a capo delle Fiamme Gialle di Napoli che ha coordinato l’operazione. Negli ultimi anni, ad ogni angolo di strada, sono spuntate decine di distributori. Nuovi marchi e insegne che spesso nel giro di qualche mese cambiano. Quello delle pompe bianche è un fenomeno sotto stretta osservazione, tanto che il ministero dell’Economia in un recente documento le associa a «diffusi fenomeni di non assolvimento delle imposte con conseguenti distorsioni del mercato». Filiere e sodalizi criminali che si avvalgono di colletti bianchi e delle consulenze di esperti in prodotti petroliferi come quello messo in piedi poche settimane fa in Veneto: società sparse da Reggio Calabria a Milano, più di ottanta persone coinvolte a cui finanzieri hanno sequestrato quote e immobili per 37 milioni di euro. Un’azienda con sede in provincia di Milano era incaricata di comprare petrolio da fornitori comunitari: arrivava via mare al porto di Venezia, dove veniva poi stoccato presso un deposito costiero (che era all’oscuro della frode). Il carburante era poi ceduto ad un’altra impresa senza Iva, che lo rivendeva sottocosto e con Iva esposta ad un’altra ditta della rete pirata, che a propria volta lo retrocedeva alla prima società acquirente. Gli spostamenti erano tutti virtuali: il greggio restava fermo nel deposito, ma le tasse si perdevano lungo il percorso.
«Per contrastare il fenomeno incrociamo oltre quaranta tra banche dati e applicativi informatici. Ma resta fondamentale il controllo del territorio. Da gennaio 2018 a maggio 2019 con 4 mila interventi abbiamo sequestrato oltre 6,2 milioni litri a cui si devono aggiungere 302 milioni di profitti realizzati ingannando il fisco. Un importante ausilio alle indagini è fornito dai dati della fatturazione elettronica obbligatoria. Bisogna intervenire prima e in questo senso sarà fondamentale l’operatività dell’e-DAS», spiega il colonnello Vinciguerra. L’arma finale per sbarrare gli oleodotti sotterranei e deviarli direttamente nelle casse dell’Erario.