La Stampa, 28 gennaio 2020
L’ipnosi in sala operatoria
Dalla sala operatoria al controllo del dolore, fino alla sindrome dell’intestino irritabile: sono alcuni degli utilizzi dell’ipnosi in medicina, tecnica dall’efficacia riconosciuta in molte sperimentazioni cliniche, ma ancora sottoutilizzata.
L’ipnosi è sfruttata in sala operatoria all’Ospedale Molinette di Torino per ridurre l’anestesia in diversi interventi (la prima volta è stata nel 2012 per l’impianto di pacemaker) e dal 2013 negli interventi di fibrillazione atriale: si riducono anestetici e analgesici e si azzera la necessità dei sedativi. I casi sono diversi: all’ospedale di Rivoli è stato ipnotizzato un 76enne, sotto la guida di Stefania Ferrua. E’ stato operato mentre immaginava una passeggiata in montagna con il cane. Sempre a Rivoli l’ipnosi è in uso al posto dei sedativi per l’ecocardiogramma trans-esofageo. E ad Asti il team cardiologico di Marco Scaglioni vanta una casistica estesa negli interventi di ablazione.
«La comunicazione ipnotica - precisa Milena Muro, dell’Unità terapia del dolore e cure palliative dell’Azienda ospedaliera universitaria di Torino, Presidio Molinette - non serve solo per sostituire i farmaci. L’obiettivo principe è garantire un vissuto di cura diverso». Pensiamo - continua Muro, docente del Centro italiano di ipnosi clinico-sperimentale di Torino - «a una persona in sala operatoria che immagini di essere in un posto bellissimo: l’approccio cambia completamente l’esperienza di cura».
L’ipnosi, non a caso, è utile in pediatria: «All’ospedale Regina Margherita di Torino è di routine, per esempio per i bambini ustionati che devono fare medicazioni ripetute». E sempre alla Città della Salute - continua Muro - «con l’ipnosi abbiamo impiantato, primi al mondo, una valvola cardiaca senza alcun tipo di sedazione e solo con anestesia locale su una persona anziana e con gravi problematiche».
Le prestazioni con l’ipnosi sono rimborsate dal Sistema sanitario: la si usa in endoscopia digestiva o respiratoria, contro la claustrofobia nella risonanza magnetica e nella terapia del dolore e anche per insegnare la gestione dei sintomi (tremore e spasmi muscolari) nei pazienti con Parkinson.
Non c’è un unico metodo. Si può partire da immagini con effetto calmante, per immergersi mentalmente in scenari rilassanti che stimolino i sensi, allontanando il paziente dalla realtà esterna e connettendolo con il proprio corpo. La condizione ipnotica si ottiene in tempi rapidi, non oltre i cinque minuti.
«Non bisogna stupirsi dell’abilità della mente di modificare la propria esperienza - rileva Muro -. L’ipnosi è una condizione fisiologica e va solo attivata, sempre con la guida di un esperto». L’esperienza è così efficace contro il dolore che, a partire dagli Anni 90, negli Usa, è stata usata in tante procedure chirurgiche, incluse biopsie, laparoscopia e chirurgia plastica. Il paziente riceve un anestetico locale o una leggera sedazione, poi i clinici lo guidano a concentrarsi sul suo mondo interiore e sulla respirazione, aiutandolo a rivivere esperienze del passato che ne catturano completamente la mente. Evitando l’anestesia generale, ci si riprende più in fretta e ci sono meno effetti avversi.
Uno studio con la risonanza magnetica, coordinato da Edoardo Casiglia dell’Università di Padova e uscito sull’«International Journal of Clinical & Experimental Hypnosis», mostra che sotto ipnosi gli stimoli dolorosi non sono avvertiti, perché le aree sensitive primarie della corteccia vengono disattivate. «Studiamo l’analgesia ipnotica - spiega il cardiologo e anestesista -: lo stimolo doloroso è annullato dall’ipnosi e la risonanza ci ha dato la possibilità di osservare che il dolore è realmente bloccato nel sistema nervoso e con analisi più approfondite abbiamo capito che lo spegnimento delle aree sensitive si ottiene con l’iperattivazione massiva delle aree prefrontali (deputate ad astrazione e volontarietà). Si tratta, quindi, di un’analgesia attiva a tutti gli effetti».
La risposta all’ipnosi è un fenomeno cosciente e volontario, insiste Casiglia. L’analgesia ipnotica è così potente che consente il «condizionamento post-ipnotico», vale a dire una durata prolungata degli effetti antidolore: è utile nelle fasi post-operatorie e quando si torna a casa. L’ipnosi può essere quindi cruciale nelle crisi di dipendenza da oppiacei.
Al di là dell’analgesia, l’ipnosi è efficace in tanti altri ambiti: riduce i sintomi, come gonfiore e diarrea, e migliora la qualità di vita nei pazienti con la sindrome dell’intestino irritabile. È poi efficace nei disturbi d’ansia, come dimostra uno studio di Keara Valentine dell’Università di Hartford (Usa), pubblicato sull’«International Journal of Clinical & Experimental Hypnosis»: si riducono i sintomi dell’ansia anche dell’84%.
La tecnica funziona, poi, sui chili di troppo, associandola alla terapia cognitivo-comportamentale. Una prova è nella ricerca su «Psychology of Consciousness: Theory, Research, and Practice» e condotta da Caitlin Moriarty dell’Università di Hartford. All’Università di Torino, in un «trial» clinico sulla rivista «Obesity», le tecniche di auto-ipnosi eseguite regolarmente per qualche minuto prima dei pasti hanno aiutato i pazienti a perdere più peso (in media 9,6 chili) rispetto al gruppo di controllo (5,6 chili).