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 2020  gennaio 28 Martedì calendario

Perché la memoria ci inganna

Dove si trovano i nostri ricordi? E, quando dimentichiamo, si cancellano davvero tutte le informazioni immagazzinate nei nostri neuroni?
Filosofi, psicologi, psichiatri, etologi vanno da tempo alla ricerca dei «luoghi» della memoria, affrontando quesiti che ci poniamo tutti: quale percentuale del nostro passato è custodito nelle cosiddette profondità del cervello? Quanta parte può riemergere, più o meno spontaneamente? E, poi, si tratta di una collezione di istantanee racchiuse nel forziere dietro il lobo temporale o piuttosto di una sceneggiatura in costante mutamento, riaggiustata ad ogni nostro viaggio mentale nel tempo?
Prima sulla scorta delle osservazioni degli psicologi, poi dallo studio di singoli casi emblematici e, infine, dalla ricerca biologica sul funzionamento del cervello sono arrivate alcune risposte. Una storia affascinante, in cui cellule e molecole si mescolano a vissuti e soggettività, e alla quale è dedicato il saggio «Dove nuotano gli ippocampi" (edito da Ponte alle Grazie) delle sorelle norvegesi Hilde e Ylva Ostby, rispettivamente scrittrice e neuropsichiatra.
Proprio come il cavalluccio marino maschio, che conserva le uova nel ventre finché i piccoli non sono in grado di nuotare, così anche i nostri ippocampi custodiscono i ricordi mentre li stiamo memorizzando e finché non sono maturi da traslocare altrove. Battezzate così da Giulio Cesare Aranzi nel 1560 per la sua forma vagamente somigliante all’animale marino, queste piccole strutture nascoste nella profondità dei lobi temporali tuttavia non potrebbero mai contenere tutto quello che memorizziamo, ma sembrano fondamentali per ripescare e riassemblare al bisogno le tracce di memoria, dopo che sono state dislocate nelle varie zone della corteccia dell’encefalo.
Come spesso è accaduto nel campo delle neuroscienze, malattie e malfunzionamenti aiutano a realizzare nuove scoperte. Celebre è il paziente Henry Molaison, noto come H.M., protagonista di molti e fondamentali studi della grande neuroscienziata Brenda Miller. Per provare un nuovo tipo di trattamento, nel 1953, ad H.M. furono rimossi chirurgicamente entrambi gli ippocampi a causa di una grave forma di epilessia non trattabile con i farmaci allora disponibili. Al risveglio, però, l’uomo non riusciva più a fissare nulla in memoria. Ricordava solo il passato più lontano. Per i restanti 50 anni di vita visse ogni giorno senza ricordare nulla del giorno prima.
All’opposto di H.M. c’è, invece, il caso di Solomon Seesevskij, giornalista e poi mnemonista, incapace di dimenticare, neanche un particolare. Grazie anche a una forte capacità sinestetica, i suoi ricordi acquisivano una vividezza tale da essere indistinguibili dal momento presente. A studiarlo è stato il leggendario neuropsicologo russo Aleksandr Lurija.
Oggi sappiamo che ci sono, verosimilmente, tanti sistemi di memoria: sensoriale, semantica, episodica, dichiarativa, procedurale o implicita, autobiografica, retrospettiva o prospettica. Ciascuna può andare incontro a un deterioramento a causa di lesioni neuronali. Ma quanto sono affidabili questi sistemi? Come scrivono le Ostby, «la memoria è costruttiva, preleva frammenti del proprio vissuto e li inquadra nella cornice della storia che è accaduta». E tutto questo getta un’ombra sulla sua affidabilità.
«La questione se possiamo davvero fidarci della nostra memoria è una domanda teorica, ma anche altamente pratica con conseguenze potenzialmente gravi. In un tribunale, e durante le indagini che precedono il processo, la ricerca della verità è messa in discussione proprio da questo. Che cosa hanno visto i testimoni? I loro ricordi sono corretti? In che modo sono stati interrogati i testimoni e gli indagati? C’è motivo di credere che i ricordi possano essere stati indebitamente manomessi durante questo processo? - ci sottolinea Ylva -. È probabile che tutti i nostri ricordi includano ricostruzioni che, a vari livelli, si discostano dalla verità originale. Nella vita quotidiana mettiamo in atto accorgimenti pragmatici. Ma in tribunale si deve decidere entro quale limite un verdetto può essere stabilito "entro un ragionevole dubbio", soppesando tutte le prove, inclusa la possibilità della presenza di falsi ricordi e di errori di memoria».
Un pensiero inquietante, che coglie di sorpresa chi non conosce i meccanismi della memoria. «Altrettanto difficile dal punto di vista esistenziale è la consapevolezza che molto del nostro passato è perso ed è dimenticato: ciò significa che c’è una gran parte della nostra esperienza che non controlliamo più».
A poco a poco, però, si è capito che l’aspetto più interessante del possedere una tale memoria sta nel sapersi immaginare il futuro. E, quindi, equipaggiarsi e prepararsi per un quando e un dove lontano: un bel vantaggio evolutivo. Il sospetto è venuto da alcuni studi di neuroimmagine che mostrano l’esistenza di meccanismi neurali comuni a memoria e immaginazione. Dopotutto, la dea della memoria, Menomosine, era la madre delle Muse. Come diceva la Regina in «Alice del Paese delle Meraviglie» «una memoria che funziona solo all’indietro non è un granché».