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 2020  gennaio 27 Lunedì calendario

QQAN40 Su "Programmi e commiati" a cura di Andrea Moroni (Fondazione Corriere della Sera)

QQAN40

Ci sono vari modi di conoscere la storia d’Italia: uno di questi è leggere il «Corriere della Sera» di ieri, oggi, domani. Il giornale fondato nel 1876 da Eugenio Torelli Viollier è un’istituzione la cui lunga vita editoriale non solo coincide con la storia nazionale ma ne riflette anche le epoche, le cadute e le rinascite.


Se si rilegge l’editoriale intitolato Al pubblico con cui Eugenio Torelli Viollier si rivolgeva ai lettori, il primo giorno di un’avventura che dura da 144 anni, si vedrà che quei valori di riferimento, mutatis mutandis, hanno costituito la filigrana delle pagine del quotidiano milanese. «Pubblico, vogliamo parlarti chiaro», esordiva il direttore-fondatore fornendo la carta d’identità di un giornale «conservatore», perché voleva custodire la libertà, l’indipendenza, l’unità conquistate con il Risorgimento, e così, rivendicando l’indipendenza culturale e la critica verso il potere, si dichiarava moderato e progressista come Camillo di Cavour, che aveva promesso e promosso libertà politiche, libertà di fede, libertà economiche.


A questi valori liberali della civiltà borghese si sono ispirati i direttori che si sono alternati in circa un secolo e mezzo alla guida del quotidiano di via Solferino: da Luigi Albertini a Mario Borsa, da Mario Missiroli a Giovanni Spadolini, da Ugo Stille a Paolo Mieli, da Ferruccio de Bortoli a Luciano Fontana. È questa ideale e storica continuità di fondo che fa del «Corriere della Sera» il giornale-istituzione dell’Italia moderna.


Appare, dunque, del tutto naturale la pubblicazione del libro Programmi e commiati. Gli editoriali dei direttori del «Corriere» 1876-2015, edito dalla Fondazione Corriere della Sera e curato da Andrea Moroni, con un’introduzione della storica Simona Colarizi: un’antologia che permette ai lettori di avere sotto mano gli articoli di presentazione e di saluto conclusivo delle 34 direzioni del quotidiano e dei suoi 30 direttori. Un modo originale di «rileggere» la storia del giornale e dell’Italia, giacché ogni cambio di direzione avviene nella continuità e, insieme, marcando una differenza. E soprattutto, con l’alternarsi dei giornalisti e delle «firme» alla guida del «Corriere», si comprendono anche i cambiamenti dell’editoria e le svolte storiche.

Fu Luigi Albertini, che con il fratello Alberto resse le sorti del giornale nell’età giolittiana, durante la Grande guerra e negli anni che portarono all’avvento del fascismo, a creare il moderno giornale-azienda ed a fare del «Corriere della Sera» il quotidiano italiano di riferimento.


Quando venne costretto dalle pressioni del fascismo a lasciare direzione e proprietà del giornale, nel quale era entrato quasi trent’anni prima come segretario di redazione, Luigi Albertini il 28 novembre 1925 rivendicò così nel suo ultimo articolo la battaglia combattuta allora in nome della libertà: «Essa mi costa oggi il maggior sacrificio, quello del “Corriere”, a cui avevo consacrato intera la mia esistenza, che in venticinque anni, assieme a mio fratello e a tanti eminenti collaboratori — ai quali va un pensiero di gratitudine infinita, come va al personale tutto di redazione, di amministrazione e di tipografia — avevo portato a non comune altezza. A tale immenso sacrificio vado incontro con il cuore gonfio d’amarezza, ma a testa alta. Perdo un bene che mi era supremamente caro, ma serbo intatto un patrimonio spirituale che mi è ancora più caro, e salvo la mia dignità e la mia coscienza». Iniziava la dittatura, che soppresse la libertà di stampa e così i direttori Pietro Croci, Ugo Ojetti, Maffio Maffii, Aldo Borrelli assunsero la direzione di un giornale che non aveva più in sé lo spirito di Torelli Viollier e degli Albertini, tant’è che per la rinascita ci si affidò nel 1945 a Mario Borsa, un antifascista che si era formato alla scuola di Luigi Albertini.


La consuetudine di avviare la direzione con un editoriale e chiuderla con un bilancio è relativamente recente. Risale a cinquant’anni fa quando, nel 1968, divenne direttore Giovanni Spadolini che fu favorevole al centrosinistra ma contrario all’idea di «compromesso storico» che si andava delineando.


Quando nel 1972 lasciò la direzione con il «pezzo» Un congedo e un impegno scrisse: «Questo giornale è qualcosa di più di un grande quotidiano d’informazione, è il simbolo stesso della civiltà laica e democratica del nostro paese, fondata sulla ragione e sulla tolleranza», ma il decennio ancora acerbo era quello degli «anni di piombo» e del «grande disordine».


Gli anni Settanta furono per il «Corriere» tra i più difficili nella sua lunga storia. Alla sua guida giunse Piero Ottone, mentre Indro Montanelli si allontanava da via Solferino per fondare «il Giornale»: «Il Corriere — scrive Simona Colarizi — viveva la stagione più tormentata, per molti versi quasi lo specchio del Paese dove tra scosse rivoluzionarie e contemporanee spinte reazionarie tanto sangue era stato versato».


Ancora una volta, però, il giornale di via Solferino avrebbe superato la prova, puntando su quella che Paolo Mieli, nel suo primo articolo di commiato, avrebbe chiamato la «tradizione liberale». In fondo, è questa la lezione viva del «Corriere della Sera»