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 2020  gennaio 27 Lunedì calendario

Psicosi cinese, il grande business della pandemia

Il nuovo coronavirus respiratorio 2019-nCoV, che sta spargendo contagio, vittime e terrore in Cina e in altri Paesi, riporta alla ribalta l’esigenza di ricerca, profilassi e risposta globali contro le pandemie. Il bilancio di decine di morti, centinaia di casi accertati e migliaia di possibili contagiati ha fatto scattare piani di contenimento che coinvolgono già decine di milioni di persone. Intanto parte la corsa alla ricerca e sviluppo di possibili vaccini. La questione così si sposta dal campo della scienza a quello del business, come già accaduto più volte. Ma se l’investimento di ingenti risorse pubbliche e private e il coinvolgimento delle società farmaceutiche sono necessari per contenere i rischi alla salute globale, altrettanto indispensabile però è evitare che si ripetano gli sperperi avvenuti dieci anni or sono.
A luglio dell’anno scorso l’Organizzazione mondiale della sanità e la Banca Mondiale hanno presentato il loro rapporto sulla preparazione globale contro le pandemie. Il messaggio dello studio è chiaro: non si tratta di ipotizzare se la pandemia arriverà ma quando arriverà. Secondo il comitato di 15 esperti indipendenti che ha redatto la ricerca, il mondo è impreparato a gestire “la concreta minaccia di una pandemia in rapida diffusione, altamente letale, di un agente patogeno respiratorio che uccida da 50 a 80 milioni di persone e cancelli quasi il 5% dell’economia globale”.
Ogni anno l’influenza stagionale fa ammalare nel mondo una persona su otto e ne uccide dalle 290 alle 650mila. Ma la pandemia di “Spagnola” del 1918-1919 colpì 500 milioni di persone, un terzo della popolazione dell’epoca, e ne uccise oltre 50 milioni. Si ammalarono circa 4 milioni e mezzo di italiani e i morti stimati nel nostro Paese furono tra i 375 e i 650mila. Dopo la “Spagnola”, il secolo scorso vide altre due pandemie influenzali: l’“Asiatica” del 1957 (1,1 milioni di morti nel mondo) e la “Hong Kong” del 1968 (1 milione di vittime nel mondo, 20mila in Italia), oltre a importanti epidemie nel 1947 (“Influenza A prime”) e 1977 (“Russa”). Nel 2002-2003 la Sindrome respiratoria acuta grave (Sars) ebbe 8.098 casi e causò 774 morti in 17 Paesi, la maggior parte dei quali in Cina e a Hong Kong. Dal 17 aprile 2009 al 10 agosto 2010 l’influenza suina A H1N1 a livello globale causò tra 152 e 575mila vittime stimate. Nel 2012 nella Penisola Arabica l’epidemia di Sindrome respiratoria del medio oriente (Mers) contagiò 2.494 persone e ne uccise 858.
Un secolo dopo la “Spagnola”, con una popolazione mondiale quattro volte più grande e trasporti che collegano in meno di 36 ore qualsiasi luogo nel mondo, nonostante l’enorme sviluppo delle conoscenze mediche biologiche e farmaceutiche una pandemia potrebbe destabilizzare il pianeta. A impensierire, per quanto ciò possa apparire cinico, è soprattutto l’impatto sull’economia. L’epidemia di Sars, la sindrome respiratoria acuta grave del 2002-2003, costò oltre 40 miliardi di dollari, mentre l’epidemia di febbre emorragica virale Ebola che tra il 2014 e il 2016 sconvolse l’Africa occidentale danneggiò le già fragili economie dei Paesi coinvolti sino a 53 miliardi di dollari. Tra i 45 a i 55 miliardi di dollari viene stimato l’impatto della pandemia influenzale H1N1 del 2009-2010.
La Banca mondiale stima che una pandemia di influenza virulenta come la “Spagnola” costerebbe all’economia globale 3mila miliardi di dollari, il 4,8% del prodotto interno lordo globale. Una pandemia influenzale con minor letalità avrebbe costi inferiori, pari al 2,2% del Pil mondiale: il Pil dell’Asia meridionale calerebbe di 53 miliardi di dollari, quello dell’Africa sub-sahariana di 28 miliardi, cancellando la crescita economica di un intero anno.
Secondo l’Oms e la Banca Mondiale le probabilità di una pandemia stanno aumentando. Lo sviluppo della ricerca fornisce nuovi strumenti per tutelare la salute pubblica ma anche per creare in laboratorio nuove malattie infettive. Eventi naturali, accidentali o intenzionali causati da agenti patogeni respiratori ad alto impatto pongono “rischi biologici catastrofici globali”.
L’Oms ha così sviluppato una strategia globale 2019–2030 contro l’influenza e i rischi di pandemie polmonari. Ma occorre evitare gli eccessi scatenati dalla pandemia di H1N1 che fece temere milioni di morti e sperperare miliardi. Quell’influenza causò circa 2.900 morti in Europa, quando la “normale” influenza stagionale ne uccide da 40 a 220mila a seconda degli anni. La paura dell’opinione pubblica e le lobbyfarmaceutiche spinsero i governi a firmare contratti capestro per creare scorte di vaccini antivirali H1N1 in gran parte rimaste inutilizzate: il Regno Unito spese 1,3 miliardi di euro, la Francia oltre 700 milioni. Ciò fu dovuto a contratti pregressi relativi a qualsiasi nuova pandemia influenzale che fosse stata dichiarata dall’Oms, alcuni dei quali firmati tra gli Stati Ue e i gruppi farmaceutici nel 2006-2007 subito dopo la paura dell’influenza aviaria. Tra il 2009 e il 2010 in Italia vi furono circa 4,4 milioni di casi di influenza con oltre 10 milioni di dosi di vaccino distribuite, a fronte di 229 vittime della H1N1. Il governo Berlusconi offrì il vaccino anti H1N1 insieme a quello per l’influenza stagionale: un contratto segreto con la Novartis prevedeva la fornitura di 24 milioni di dosi al costo di 184 milioni. Le dosi effettivamente consegnate furono 10 milioni, quelle usate 900mila circa. Le altre dovettero essere ritirate e distrutte. La Corte dei Conti giudicò penalizzante l’accordo e accusò il governo di aver accettato clausole troppo favorevoli all’azienda.
Qualcuno però fece grossi affari. Secondo le stime di JP Morgan, le vendite dei vaccini contro l’H1N1 nel 2009 crearono profitti tra i 7 e i 10 miliardi di dollari alle case farmaceutiche. Sanofi-Aventis a inizio 2010 dichiarò un utile netto consolidato di 7,8 miliardi di euro (in crescita dell’11% su base annua) a causa delle vendite record di vaccini antinfluenzali. Un report del Parlamento Europeo criticò l’Oms chiedendo se fosse giustificato vendere vaccini H1N1 ai Governi nazionali a prezzi apparentemente doppi o tripli rispetto a quelli dei vaccini per la normale influenza stagionale. Contro le pandemie prepararsi è bene, ma usare appropriatamente le risorse pubbliche è meglio.