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 2020  gennaio 27 Lunedì calendario

La Babilonia dei caricatori per cellulari

La domanda è classica. A casa, in ufficio, al bar, in treno e pure in auto. Ovunque e a qualsiasi ora del giorno è possibile sentirsi dire: «Ce l’hai un caricatore?». Tra i risvolti più evidenti della vita digitale che abbiamo scelto infatti, non c’è solo la necessità di essere connessi a internet in ogni istante ma anche quella di esserlo alla rete elettrica. Per questo, con il tempo, è stato necessario imparare a destreggiarsi caricatori con più voltaggi e soprattutto tra connettori con standard differenti come il lightning usato da Apple, l’usb Type-C scelto da tutti gli altri produttori di smartphone e il micro-usb utilizzato per dispositivi come fotocamere, e-reader e caricabatterie portatili. Cavi con funzioni diverse che, peraltro, continuano a cambiare insieme alle nostre abitudini. 

I SEGNALI
Così, a quasi due anni dall’eliminazione da gran parte degli smartphone del jack audio – l’ingresso dedicato per gli auricolari – ancora oggi gli utenti non si sono del tutto abituati al non averlo o ad utilizzare gli adattatori. Una rivoluzione quest’ultima dovuta al fatto che i nuovi connettori Type-C sono in grado di veicolare – anche simultaneamente - dati, segnali video e audio e corrente elettrica. Ma questo standard sta diventando dominante anche per altre caratteristiche tecniche. Ad esempio è in grado di gestire una potenza di ricarica fino a 100 watt – un laptop di solito ne richiede circa 60 – mentre il cavo lightning pare (Apple non ne divulga le specifiche esatte) possano arrivare fino a 12 W. Non solo, Type-C permette anche trasferire grandi quantità di dati a velocità maggiori rispetto ai concorrenti.

LE AZIENDE
Vantaggi che, in teoria, avrebbero potuto far propendere tutti i produttori per il suo utilizzo piuttosto che per quello di altre tipologie. 
Nella realtà però Apple continua ad utilizzare una tecnologia proprietaria come lightning e molte altre aziende, soprattutto di accessori e dispositivi secondari rispetto agli smartphone preferiscono micro-usb. Un’ostinazione che la mela morsicata giustificherebbe anche sostenendo che i connettori di ricarica utilizzati per gli iPhone sono più piccoli, il che gli permette di rendere i dispositivi più sottili. E gli altri produttori che continuano a usare micro-usb invece per contenere i costi.

LA PROPOSTA
Motivazioni che non sono sembrate più sufficienti alla Commissione Europea che, la scorsa settimana, ha tentato di imporre ai produttori di utilizzare un caricabatterie comune per tutti i dispositivi mobili. 
Secondo i relatori di Bruxelles – il cui parere arriverà entro fine mese – la proposta non renderebbe solo più pratico l’utilizzo dei dispositivi elettronici ma permetterebbe di risparmiare e di inquinare meno. Un’unica tipologia di caricabatterie infatti da un lato ridurrebbe i costi per i consumatori – smartphone e gadget vari potrebbero essere venduti senza un caricatore dedicato – e dall’altro permetterebbe di evitare di produrre, secondo le stime Ue, oltre 51mila tonnellate di rifiuti all’anno nel Vecchio Continente. In pratica la Commissione ha dato il là al terzo episodio della cosiddetta guerra dei cavi. 

L’ACCORDO
Già nel 2009, quando sul mercato c’erano più di 30 caricabatterie diversi, la Commissione europea, aveva raggiunto un accordo volontario con i giganti del settore per introdurre un caricabatterie per smartphone adatto a tutti i modelli. 
L’accordo è però scaduto nel 2014 e i produttori di dispositivi, nonostante i tentativi della Ue, si sono nuovamente allontanati dallo standard unico. In particolare Apple ha reso molto remunerativa questa parte della sua attività mettendo in commercio decine di adattatori diversi e molto costosi (negli ultimi sette anni sono stati prodotti oltre un miliardo di device con connettore lightning ma anche alcuni, soprattutto MacBook dotati di Type-C). Non a caso la prima reazione ai dettami di Bruxelles è arrivata proprio Cupertino con una nota in cui sostiene che questa «regolamentazione soffochi l’innovazione anziché incoraggiarla».