Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  gennaio 26 Domenica calendario

L'equilibrismo di Putin tra Israele e i suoi nemici

Di fronte a un Vladimir Putin arrivato elegantemente in ritardo come si addice alle star, al Forum Mondiale sull’Olocausto riunitosi a Gerusalemme nell’auditorium del centro per la memoria Yad Vashem, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha tuonato contro l’Iran definendone il regime come «il più antisemitico del pianeta», e ha ringraziato gli Stati Uniti della risolutezza nel «confrontare i tiranni di Teheran». Ma per allontanare le forze dell’arcinemico sciita dalle frontiere, più che sull’alleato di sempre Netanyahu dovrà probabilmente puntare sul ritardatario Putin, che con l’arcinemico collabora. Perché la Russia è nella posizione ideale per mediare un ritiro iraniano dalla Siria, e ha qualche motivo per desiderarlo.

RELAZIONI FORTI CON TUTTE LE PARTI IN CAUSA La Russia ha instaurato relazioni forti con tutte le parti in causa nel conflitto siriano, e ha dimostrato di saper far valere la leva della sua capacità militare e del suo peso politico per indirizzarle nelle direzioni desiderate. Coopera con le milizie di Hezbollah e con la Guardia rivoluzionaria iraniana nelle operazioni belliche, ma l’accordo di deconfliction con Israele per evitare scontri sul cielo della Siria, firmato all’inizio dell’intervento russo in difesa del regime di Bashar al-Assad nel settembre 2015, continua a funzionare in modo soddisfacente per entrambi i contraenti. Il fatto che le truppe armate da Teheran, contrariamente a quanto promesso da Mosca, mantengano posizioni vicine al confine israeliano del Golan, non ha provocato reali frizioni. Anche perché i russi – con qualche rimostranza solo formale – quelle posizioni agli israeliani le lasciano bombardare. E potrebbero facilmente impedirlo, usando il micidiale sistema di difesa anti-aerea S-400 installato nella loro base alle porte di Latakia. Sistema che non hanno voluto fornire all’Iran, né all’Iraq a influenza iraniana.

La cooperazione ad hoc con lo Stato sciita è calibrata in modo da non precludere al Cremlino alcuna alternativa

La cooperazione ad hoc con lo Stato sciita è calibrata in modo da non precludere al Cremlino alcuna alternativa. Gli interessi, a guerra finita, potrebbero divergere. La presenza di Hezbollah e dei suoi controllori perpetuando l’attrito con Israele mina ogni prospettiva di stabilità per la Siria. E può compromettere il ritorno che Mosca, come appaltatore privilegiato se non unico della ricostruzione, si aspetta dagli investimenti fatti. Una convergenza con Gerusalemme sul proposito di sottrarre la Siria alla morsa iraniana comporterebbe probabilmente il sacrificio di Assad, di cui l’Iran è il più stretto alleato. Ma il supporto della Russia al leader di Damasco «non è incondizionato», ha più volte affermato il Cremlino. Il cui scopo è evitare lo smembramento del Paese, non difenderne ad ogni costo il presidente. Per il quale negli ambienti diplomatici moscoviti si è spesso registrata insofferenza. E che è visto come il fumo negli occhi da un partner sempre più importante per il gioco di Putin in Medio Oriente e Nordafrica: la Turchia.

LO SCENARIO DI UNA CAMP DAVID SULLA MOSCOVA Un accordo diplomatico per ridurre la tensione tra Israele e Iran potrebbe far da battistrada a un’apertura israeliana sull’obiettivo strategico di Putin di diventare il principale mediatore di nuovi colloqui per la pace in Palestina. Una Camp David sulla Moscova assicurerebbe una dimensione globale all’influenza geopolitica riconquistata dalla Russia con la sua avventura mediorientale, e darebbe a Putin la statura storica che da sempre persegue. I rapporti con l’Autorità nazionale palestinese sono frequenti. Il presidente russo ha visto il capo dell’Autorità Mahmoud Abbas anche durante la sua breve visita del 23 gennaio in Terra Santa. L’”accordo del secolo” proposto da Donald Trump in prima battuta è stato rigettato dai palestinesi. I dettagli del rilancio che la Casa Bianca si appresta a fare non sono stati ufficializzati, ma da quel che emerge il piano lascia spazio a soluzioni unilaterali per i territori occupati che somigliano parecchio all’ annessione già annunciata da Netanyahu. Inaccettabile per i palestinesi.

Ogni evoluzione dipenderà molto dai risultati elettorali in Israele – dove in marzo si vota per la terza volta in un anno – e nei Territori Palestinesi

Ogni evoluzione dipenderà molto dai risultati elettorali in Israele – dove in marzo si vota per la terza volta in un anno – e nei Territori Palestinesi. Putin però sembra essere in una posizione avvantaggiata rispetto a Trump, per sbrogliare la matassa. Non può e non vuole farlo da solo. Anche per questo nel discorso allo Yad Vashem ha proposto un summit dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Non sarebbe un summit sul Medio Oriente, ma è sul Medio Oriente che oggi lo zar può far leva per ufficializzare la fine all’ “eccezionalismo statunitense”. E confermare un ruolo paritario di Mosca rispetto a Washington nella soluzione delle crisi internazionali.

ISRAELE? «UN PAESE DI LINGUA RUSSA» Intanto, l’amico Netanyahu ha dato a Putin il podio più accreditato da cui declamare al mondo una narrativa che ritiene cruciale per dare autorità morale al ruolo di grande potenza ed arbitro dei conflitti che Mosca rivendica: la Russia ha sopportato il maggior peso del nazismo e dell’antisemitismo e non è stata in alcun modo responsabile dello scoppio della Seconda guerra mondiale, ha detto in sostanza il capo del Cremlino al Forum Mondiale sull’Olocausto. Qualunque cosa dicano gli storici, e i polacchi – che al podio di Gerusalemme non son stati ammessi -, sul patto Molotov-Ribbentrop. Israele, dove il 17 % della popolazione parla l’idioma di Tolstoy, «è un Paese di lingua russa», ha ricordato anche recentemente Putin.