https://www.lettera43.it/mafia-foggia-clan-gargano/, 26 gennaio 2020
Radiografia della mafia foggiana: clan e faide
L’ultimo attentato a Foggia ha riguardato un centro per anziani: una bomba è stata fatta esplodere davanti all’istituto Il sorriso di Stefano, una struttura che fa parte del gruppo Sanità Più dei fratelli Luca e Cristian Vigilante.
Quest’ultimo, già vittima di un attentato dinamitardo la sera del 3 gennaio, è testimone in una delicatissima inchiesta che riguarda la mafia foggiana, la cosiddetta “quarta mafia“.
I numeri sono impressionanti: da inizio anno sono già 10 gli attentati commessi nel Foggiano. Cinque nel capoluogo e altrettanti in provincia, cui va aggiunto l’omicidio di Roberto D’Angelo il 2 gennaio scorso, avvenuto a Foggia poco distante dalla zona dalla bomba al centro anziani. Un quartiere in una zona semi-centrale a pochi passi da dove il 10 gennaio scorso è partita la marcia organizzata da Libera contro le mafie, che ha portato per strada 20 mila persone.
IL
NUOVO MONDO DI MEZZO
Le marce, tuttavia, non bastano. Secondo la recente relazione della Dia aggiornata al primo semestre 2019, ciò che emerge nella provincia dauna è «il forte legame dei gruppi criminali con il territorio, i rapporti familistici di gran parte dei clan foggiani e la massiccia presenza di armi ed esplosivi» che «favoriscono un contesto ambientale omertoso e violento». Gli investigatori, infatti, concordano su un punto: l’assoggettamento del tessuto socio-economico, quando non è direttamente connesso ad atti intimidatori, «è il risultato della diffusa consapevolezza che la mafia di quella provincia è spietata e punisce pesantemente chi si ribella».
Una operazione delle squadre mobili di Foggia e Bari e del Servizio Centrale Operativo della Polizia, coordinati nelle indagini dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari (Ansa).
Cioè, con la morte. Tutto questo porta inevitabilmente alla creazione di un’area grigia, punto di incontro tra mafiosi, imprenditori e pubbliche amministrazioni. Una «terra di mezzo», si legge ancora nel rapporto della Dia, «dove affari leciti e illeciti tendono a incontrarsi e confondersi». Non è un caso che nel 2019 ben quattro Comuni siano stati sciolti per infiltrazioni mafiose: Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola.
VERSO UN NUOVO ASSETTO ORGANIZZATIVO DEI CLAN
In questa terra di nessuno è vietato ribellarsi. Ma il sangue scorre anche per la presenza magmatica di più clan. Nel capoluogo c’è la Società Foggiana, fondata sul modello della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, che conta la presenza di tre batterie: i Sinesi-Francavilla, i Moretti-Pellegrino-Lanza e i Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese. Per anni, tutti contro tutti, così da dividersi non solo gli affari, ma anche i morti ammazzati. Oggi invece, rivelano gli investigatori, si starebbe andando verso «nuovi assetti organizzativi, più consolidati e fondati su strategie condivise, emulando in tal modo, anche in un’ottica espansionistica, la ‘ndrangheta». Le ultime inchieste hanno infatti rivelato la gestione di una cassa comune e il controllo condiviso delle estorsioni, con tanto di ruoli interni, gerarchie e relativo “stipendio”. È uno dei pochissimi pentiti esistenti della quarta mafia a rivelarlo nell’operazione Decima Azione: «Tu incominci come picciotto, picciotto d’onore. Picciotto d’onore, dopo tu, se vuoi salire di livello, devi ammazzare la gente, e incominci a diventare sgarrista, incominci a prendere di più al mese…».
LA LOTTA PER IL CONTROLLO DEL GARGANO
Ma la pax mafiosa potrebbe essere solo apparente: nell’area garganica, le rivalità restano infuocate. Specie tra due famiglie: da una parte i Romito, dall’altra i Li Bergolis. Famiglie che sarebbero coinvolte nella famosa strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, quando furono freddate quattro persone. La pressione si riverbera su tutta la criminalità locale. A Vieste, per esempio, è ancora in piedi la faida tra i clan Perna e Raduano: diversi sono i ferimenti e i tentati omicidi nel 2019, culminati negli agguati del 21 marzo 2019, a Mattinata, e del 26 aprile 2019, a Vieste, in cui sono stati uccisi da una parte il reggente del clan Romito, Francesco Pio Gentile, cugino di Mario Luciano Romito (ucciso proprio a San Marco in Lamis); e dall’altra, in risposta, il capoclan Girolamo Perna.
Un omicidio nel Foggiano dopo la strage di San Marco in Lamis (Ansa).
CLE MANI SUI TERMINAL PER LE ROTTE DEI TRAFFICANTI ALBANESI
Il controllo delle coste garganiche, d’altronde, è fondamentale: come emerso in più inchieste (la più recente è stata Ultimo Avamposto), l’area è utilizzata come terminal per le rotte dei trafficanti di marijuana provenienti dall’Albania, da smerciare anche su scala nazionale. E quella zona, oggi, è in mano ai Perna. Dunque ai Li Bergolis. «Se questo sta in giro lo uccido col martello in mezzo alla strada che poi mi devo mangiare il cuore. Gli devo zappare in testa, gli devo tagliare le mani. Lo uccido, poi dobbiamo giocare a pallone con la testa sua», si sente in una delle intercettazioni captata nell’operazione Neve di marzo dell’ottobre scorso: a parlare è un membro della famiglia Raduano proprio contro il boss dei Perna.
IL TARIFFARIO DELLE ESTORSIONI E L’OMERTÀ DIFFUSA
La strategia dei foggiani è chiara: come rivelano anche gli ultimi attentati, chi osa parlare, rischia grosso, finanche la morte. E così il clima di omertà in territorio dauno è spaventoso. Basta leggere le carte dell’inchiesta, già citata, Decima Azione. Alle richieste estorsive che la criminalità faceva praticamente per qualunque tipo di attività (da quelle imprenditoriali fino alle onoranze funebri), il silenzio delle vittime era totale. Alla proprietaria di un negozio di alimentari i foggiani avevano estorto 4 mila euro nel periodo natalizio: davanti ai carabinieri e, soprattutto, alle intercettazioni, la titolare ha negato tutto. Cinquecento euro al mese era la somma ottenuta invece da una barista, alla quale avevano fatto capire che se non avesse pagato avrebbe subito diverse rapine. Agli inquirenti ha risposto: «Sono onesta […] Io non pago nessuno». Stesso copione con il proprietario di un agriturismo-resort, cui la mafia aveva chiesto il pagamento di 1.500 euro: quando la squadra mobile lo ha convocato, lui ha negato e poi è corso ad avvisare gli uomini del clan.
Inquirenti sul luogo in cui è stato ucciso Pasquale Ricucci, di 45 anni, presunto elemento di elemento di spicco di un clan mafioso del Gargano, nella frazione ‘Macchia’ di Monte Sant’Angelo (Foggia), 11 novembre 2019 (Ansa).
GLI AFFARI DELLA MAFIA CERIGNOLANA
Non ci sono, però, solo il Gargano e Foggia. In questa rete criminale in cui un giorno si è alleati e quello dopo si torna ad ammazzare per il controllo del territorio, c’è anche la malavita cerignolana che, a differenza delle faide garganiche, dimostra «una comprovata capacità di assoggettare il tessuto criminale locale in modo pragmatico, riducendo al minimo le frizioni in seno allo stesso, nonostante la pluralità di soggetti e di interessi illeciti in gioco», si legge nella relazione della Dia. Tutti d’accordo, dunque, sotto l’egida delle famiglie Ditommaso e Piarulli-Ferraro che a loro volta hanno base non in Puglia ma in Lombardia. Gli interessi riguardano soprattutto il settore agroalimentare. Non è un caso che a ottobre scorso anche il Comune di Cerignola sia stato sciolto per mafia. Ma, d’altronde, spiegano gli investigatori, quella cerignolana è «una mafia degli affari, sempre meno legata a una struttura rigida basata su vincoli familiari (aspetto peculiare delle mafie foggiana e garganica) e più proiettata al raggiungimento di obiettivi economico-criminali a medio-lungo termine».
I COLPI DEL BRACCIO ARMATO
Non manca il braccio armato, vero incubo delle società dei portavalori e dei tir. I cerignolani sono una vera e propria organizzazione para-militare che, nel corso degli anni, ha messo a punto furti da film d’azione: nel 2015 lungo la A14 “prelevarono” 4,7 milioni di euro dopo aver bloccato in due minuti esatti l’arteria autostradale, speronato i portavalori, azionato i kalashnikov e smantellato i blindati per andarsene con le casseforti. Lo scorso gennaio a Mellitto, Bari, un furgone diretto agli uffici postali di Matera carico dei soldi è stato letteralmente sfondato da due ruspe blindate. Due milioni di euro il bottino. Nulla in confronto a quanto accadde a Catanzaro nel 2016. Il sodalizio tra cerignolani e calabresi mise a segno uno dei furti più sensazionali degli ultimi anni: pochi minuti per bloccare le vie di fuga, aprire il caveau di un istituto di vigilanza con una ruspa dotata di martello pneumatico, rubare 8,5 milioni di euro e fuggire via tra le campagne.