il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2020
Le app porno
Sembrano (porno) influencer, ma il prodotto sono loro stessi. Molti si vedono come dei creatori di contenuti “perché – spiegano – per mantenere viva l’attenzione dei fan devi dar loro sempre qualcosa di nuovo e intrigante e soddisfare le loro fantasie”, quindi è importante che un topless sia originale o che si possa chattare privatamente o lanciare sondaggi per chiedere cosa si vorrebbe vedere o fornire servizi su misura. Non manca chi organizza giornate tematiche. E per fare tutto questo, i canali tradizionali non bastano più.
Le app che sono riuscite a coniugare pornografia e social network sono principalmente due, OnlyFans e – incolpevolmente – Patreon. La prima funziona così: ci si iscrive, si caricano foto, descrizioni e contenuti e si stabilisce quanto si vuole far pagare agli utenti ogni mese per dar loro accesso ai propri contenuti. È una piattaforma molto simile a Instagram e altri social, ci si abbona con pochi clic e funziona meglio se si ha già una base di fan disposti a pagare per seguire le esclusive. Patreon ha un funzionamento simile, ma nasce per i freelance e gli artisti, ricalca il concetto di mecenatismo: i Creator caricano contenuti esclusivi per chi paga, i Patron pagano per vederli. In pratica, non si ha più bisogno di intermediari e possono gestire come preferiscono la propria agenda. Alle piattaforme va una percentuale sulle transazioni che si aggira intorno al 20 per cento.
Onlyfans oggi è il punto di riferimento di quella che gli americani chiamano “industria dell’intrattenimento per adulti”. Ci sono migliaia di profili di pornostar e lavoratori del sesso, postano con costanza foto e video, chattano con chi si abbona ai loro canali (si va dalla decina di euro o dollari al mese a cento o cinquanta), si ingegnano per coinvolgere gli utenti. “Ha cambiato completamente la mia vita – ha raccontato all’Economist una ex attrice inglese di soft porn, Lucy-Anne Brooks – Guadagno tra 19mila e 22mila sterline al mese”. Spiega che non è un lavoro facile: ha un piano molto stringente di contenuti, programmato con precisione militare. Ogni giorno ha un tema diverso, l’“Help Me Monday”, in cui chiede ai suoi 780 fan cosa vorrebbero vedere sulla pagina o il “Fantasy Friday”, in cui indossa un costume, da James Bond ai supereroi. Aiuta i fan a rimanere coinvolti: “C’è un numero limitato di volte in cui puoi posare in mutande prima che le persone inizino a annoiarsi”.
Lanciata nel 2016, la piattaforma sostiene di avere 12 milioni di utenti registrati in tutto il mondo. Un business in crescita anche perché colma dichiaratamente il vuoto di Patreon che, da due anni, cerca di contrastare (riuscendoci) la presenza di contenuti per adulti. Accoglie, poi, le necessità del mondo del porno che è in costante evoluzione e che ha risentito dell’arrivo di internet e dei prodotti gratuiti, anche in termini di sfruttamento.
Nell’età dell’oro del porno, gli anni tra il 1969 e il 1984, il mercato dei film a luci rosse oscillava tra i 5 e i 10 milioni di dollari nei soli Stati Uniti (oggi varrebbe più di 25 milioni). Le produzioni del porno avevano grandi budget, attori esperti e noti e standard qualitativi ritenuti molto alti nel settore. Poi, il business è andato lentamente erodendosi con l’arrivo della pornografia gratuita e disponibile facilmente a tutti online: Brazzers, Porn Hub, Youporn su tutti. La produzione è aumentata, i video hard amatoriali e finti-amatoriali hanno generato un eccesso di offerta, il sistema si è ammalato: attrici e attori che hanno iniziato a girare centinaia di scene per poche centinaia di euro, sfruttamento, assenza di controllo, profitto per pochi. A nulla sono servite le piattaforme di live cam o le sezioni premium dei siti: le prime impongono vincoli ancora più stringenti, dettati dalla necessità di essere sempre in diretta, le seconde sono poco utilizzate e restano di nicchia.
Da qualche anno, però, qualcosa sta cambiando. Alcune stime parlano di un business di 97 miliardi di dollari (ma con profitti ancora di poche centinaia di milioni) in cui gli incassi principali arrivano da servizi specifici, come le piattaforme per la realizzazione di video hard amatoriali su richiesta. Lo ha spiegato Wired: nel quinquennio 2014- 2019 si è assistito a un incremento medio del 10,1 per cento del fatturato, un trend che gli analisti prevedono raddoppierà nei prossimi cinque anni. È la gig economy applicata anche a questo settore.
Di sicuro queste piattaforme, soprattutto per le donne, rendono superflua l’intermediazione – spesso maschile – che trae profitto dalla gestione della loro immagine. I diritti e i guadagni che ne derivano sono solo loro.
Ma non solo donne. In Italia, ad esempio, c’è chi ha deciso di utilizzare la propria notorietà di corteggiatore per arrotondare su questo tipo di piattaforma. Basta pagare circa 9 euro e si accede al profilo di Scobydoooxxl, ex corteggiatore con un account Instagram di 105mila follower. In passato, nelle sue stories, li ha invitati a seguirlo su OnlyFans. La prima foto postata sulla piattaforma risale al giugno del 2019, l’ultima (sono ventisei) a qualche settimana fa. Ci sono sia immagini in cui è semplicemente a torso nudo che altre molto spinte. Ogni tanto ha pubblicato qualche breve video. Il feed, ovvero il rullo di notizie che può vedere l’utente, è quasi del tutto simile a quello di altre piattaforme social. Se si seguono più persone, i loro aggiornamenti compariranno lì in sequenza. E sulla base di quanto scelto fino a quel momento, in alto a destra compaiono i suggerimenti: Daniele P., Tribalink2, Bell’Antonio, Max Felicitas. Nulla di nascosto. Tanto che, per la sua dichiarata funzione, la app OnlyFans non è più disponibile sul playstore di Android perché ne viola le condizioni sui contenuti a sfondo sessuale.