Libero, 26 gennaio 2020
Quanti sono gli innocenti nelle carceri italiane
La figlia di Enzo Tortora, Gaia, giornalista de “La7”, ha chiesto ad Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, di spiegare la frase pronunciata nel programma “Otto e mezzo”: «Gli innocenti non finiscono in carcere». «Sono innocente. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero, dal profondo del cuore, che lo siate anche voi». Queste le parole con cui, nel settembre 1986, Enzo Tortora concluse le proprie dichiarazioni al processo d’Appello, che lo assolverà. Tre anni prima, venerdì 17 giugno 1983, il più noto presentatore televisivo italiano era stato svegliato, alle 4 del mattino, dai Carabinieri, mentre dormiva all’Hotel Plaza di Roma, e arrestato per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Spostato, in manette, con le tv che ne inquadrarono bene i ferri e con i giornali che stamparono molte pagine sulla vicenda, vergando articoli colpevolisti, con poche autorevoli eccezioni, in primis Vittorio Feltri ed Enzo Biagi. il calvario Nel giugno del 1984, Tortora venne eletto deputato al Parlamento europeo, nelle liste del Partito Radicale di Pannella, che ne sostenne le battaglie giudiziarie. Il 17 settembre 1985, il conduttore venne condannato a 10 anni di carcere, dopo un processo basato sulle dichiarazioni, mendaci e senza riscontri, di alcuni camorristi “pentiti”. Tali panzane erano state esternate dai pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso, detto “Gianni il bello”, Pasquale Barra, autore di 67 omicidi, noto come assassino di detenuti, quand’era in carcere, e per aver tagliato la gola, squarciato il petto e addentato il cuore di Francis Turatello, uno dei capi della malavita milanese. Il 31 dicembre 1985, Tortora si dimise da europarlamentare e, rinunciando all’immunità, restò agli arresti domiciliari. Il 15 settembre 1986, l’ex eurodeputato venne assolto, con formula piena, dalla Corte d’appello di Napoli, dopo 7 mesi di cella e arresti domiciliari. Il giornalista tornò in RAI, il 20 febbraio del 1987, ricominciando il suo Portobello. Morì il 18 maggio 1988, a 60 anni, nella sua casa di Milano, distrutto da quello che, retoricamente, viene definito un “male incurabile”. In quel caso, non si sa se sostituì il termine “tumore” o “ingiustizia”. 1768 giorni separarono l’inizio del calvario dalla fine della sua esistenza. Ricordando l’acredine dei colleghi nei suoi confronti, Vittorio Feltri -che, all’epoca, inviato speciale del Corriere della Sera, difese il collega- ha definito, nel suo bel libro “L’Irriverente”, il caso-Tortora «una congiura nei confronti di una persona che, essendo innocente, non è stata in grado di difendersi perché, quando non hai colpe, sei prostrato e indignato per le accuse. Accade ancora. Lo hanno ammazzato. È morto Tortora. Massacrato dai magistrati e dai giornalisti». i numeri Le toghe -che ordinarono la cella per Tortora senza l’ombra di un controllo bancario, un pedinamento, un’intercettazione telefonica, basandosi solo sulle parole di spietati criminali- hanno fatto splendide carriere. Di Pietro, che si autodefiniva il “Maradona del diritto”, ascese al vertice della Procura generale di Salerno, Di Persia fu membro del Csm, l’organo di autocontrollo dei giudici, ma Cossiga, allora Presidente, rifiutò di stringergli la mano durante un plenum. Diego Marmo, pm in primo grado, dipinse l’imputato come «un cinico mercante di morte, un uomo della notte ben diverso da come appariva a Portobello». Luigi Sansone, il Presidente della Corte d’Assise, fu promosso al vertice della sesta sezione penale della Cassazione, il focoso Marmo guidò la Procura di Torre Annunziata e, solo 30 anni dopo, chiese scusa ai familiari della vittima del grave caso di malagiustizia. Nessuno dei delatori sbugiardati venne incriminato per calunnia. Ma tutto questo Alfonsino Bonafede non lo sa... Come, forse, ignora che, dal 1992 al settembre 2018, si sono registrati oltre 27.200 casi di ingiusta detenzione: in media, 1007 innocenti in prigione ogni anno, per una spesa che sfiora i 740 milioni di euro in indennizzi.