Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  gennaio 26 Domenica calendario

QQAN40 Richard Sorge, la più grande spia del XX secolo

QQAN40

Il 7 novembre del 1944, quando venne impiccato, Richard Sorge rifiutò il tè e le fette di torta che il cerimoniale giapponese prevedeva per il condannato a morte. «Preferirei una sigaretta» disse, ma il direttore della prigione di Sugamo rifiutò: era contro le regole. L’ufficiale che rappresentava i servizi di sicurezza cercò di mediare, in fondo era l’ultimo desiderio del prigioniero, ma il direttore fu inflessibile e forse a Sorge tornò in mente la metafora del bonsai, da lui spesso usata per spiegare la psicologia di quel popolo: «È rigidamente allenato a sopprimere la propria natura e a mutarla in qualcosa di artificiale e disciplinato, un albero perfetto e insieme un albero nano...».
Le mani legate dietro la schiena, Sorge fu poi condotto al centro della botola che si sarebbe aperta sotto di lui e gli venne messo il cappio intorno al collo. Ad azionare, in contemporanea, il meccanismo sarebbero state cinque guardie carcerarie, affinché nessuna si dovesse sentire responsabile in proprio di aver ucciso un uomo. «Sakigun» disse allora Sorge, Armata rossa! E quindi, in rapida successione, «Kokusai Kyosanto», Partito Comunista Internazionale! «Soviet Kyosanto», Partito Comunista sovietico! Furono le sue ultime parole.
Nel gennaio del 1943, quando ormai era in carcere da più di un anno, aveva ballato in cella e scherzato con i secondini alla notizia di Stalingrado, la vittoria russa, la disfatta tedesca. Poteva dire a sé stesso che era anche opera sua: aveva comunicato in anticipo l’Operazione Barbarossa, con cui la Wehrmacht invadeva l’Urss, e lo stesso aveva fatto nel far conoscere a Mosca che no, il Giappone non avrebbe invaso la Siberia, permettendo così all’Armata rossa il rafforzamento del suo fronte occidentale. Sua era stata anche l’informativa in cui si dava per sicura, tre mesi prima che avvenisse, l’entrata in Guerra del Giappone contro gli Stati Uniti e insomma da Tokyo Sorge era stato l’occhio segreto che meglio di tutti aveva saputo posizionare e muovere le pedine di uno scacchiere internazionale affollato di giocatori in proprio e per conto terzi: Germania e Giappone, impero inglese dell’Estremo Oriente e Indocina francese, Cina comunista e Cina nazionalista, Stati Uniti. E, naturalmente, Unione Sovietica. Come dirà Mitsusada Yoshikawa, il pubblico ministero della sezione ideologica della procura distrettuale di Tokyo che lo fece condannare a morte, colpevole di «cospirazione internazionale» e «rivelazione di segreti di Stato»: «In tutta la mia vita non ho incontrato nessuno così grande come lui». Come ha scritto Frederick Forsyth: «Le spie che dalla loro tomba possono dire Le informazioni che ho fornito ai miei capi hanno cambiato, nel bene e nel male, la storia del nostro pianeta si contano nel palmo di una mano. Sorge è una di quelle».
L’Urss ci mise più di un decennio a riconoscere il suo debito di riconoscenza: ci volle Kruscev e la fine dello stalinismo. Per tutta una serie di motivi, che Owen Matthews elenca nel suo An Impeccable Spy. Richard Sorge Stalin’s Master Agent (Bloomsbury, pagg. 435, sterline 25) – dove, rispetto a quel classico in materia che è Il caso Sorge, di Deakin e Storry, per la prima volta si dà conto degli archivi sovietici declassificati – Sorge non era amato dai suoi compatrioti nelle alte sfere del potere. Innanzitutto perché per parte di padre era tedesco, per quanto nato a Baku nel 1895 da Nina Kobolev. Poi perché negli anni Venti era stato un agente del Comintern, in Inghilterra, in Danimarca, e questo negli anni Trenta, l’epoca delle purghe staliniane, da titolo di merito diverrà elemento di colpevolezza: era lì che si annidavano i «deviazionisti», di destra e di sinistra, i seguaci di tutti quelli che, da Kamenev a Zinoviev, da Bucharin a Trotsky, la furia omicida di Stalin avrebbe eliminato. Quelle «purghe» inoltre avevano sconvolto e insieme paralizzato i servizi di spionaggio e di controspionaggio russi, con i suoi vertici falciati a passo di carica dalla sospettosità paranoica del «piccolo padre» del Cremlino. «Il miglior modo per sopravvivere nelle alte sfere della sicurezza militare – scrive Matthews – consisteva nel dire a Stalin solo quello che voleva sentire». Nel caso dei rapporti fra Russia e Germania, dopo il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop, ciò significava «distorcere le informazioni relative a un sempre più probabile attacco tedesco per meglio confermare lo scetticismo di Stalin al riguardo». Solo che quanto da Tokyo Sorge trasmetteva era proprio l’esatto contrario di ciò che Stalin voleva sentirsi dire... «Potete mandare la vostra fonte a fare in culo». «Sospetto. Da mettere insieme con altre provocazioni». «Dezinformator», ovvero disinformatore, furono le repliche orali e scritte che inizialmente Stalin riservò alle notizie relative all’Operazione Barbarossa.
In ultimo, ma non per ultimo, Sorge era un comunista fedele, ma era anche un comunista solitario, le cui radici tedesche secernevano romanticismo lì dove avrebbe dovuto esserci solo e soltanto il militante di una causa che si annullava in un partito. Come ha scritto magistralmente John le Carré, era un personaggio da romanzo, ma di quelli raccontati dal Thomas Mann di Tristano: lavorava sempre a un libro che non avrebbe mai finito, al momento del suo arresto teneva aperto sul comodino un volume di poesie giapponesi dell’XI secolo, come uno studente bohémien aveva in camera una gabbietta con un gufo... «Come molti romantici per scelta, non concepiva le donne fuori dalla camera da letto, aveva un grande coraggio e un senso romantico della missione: quando i suoi colleghi vennero arrestati, rimase coricato bevendo sake e aspettando la fine. Spiare gli diede un palcoscenico; una nave per navigare sopra i suoi mari romantici, una fune con cui legare un fascio di talenti di medio valore, una frusta marxista con cui castigare sé stesso. Questo prete sensuale aveva trovato il suo vero mestiere. Era meravigliosamente nato nel suo secolo. Solo i suoi dei erano antiquati».
Reduce della Grande guerra, decorato e mutilato, il fronte aveva dato a Sorge quella noncuranza nei confronti del rischio che, unita a una buona educazione altoborghese e a un’abitudine ormai decennale al travestimento, ai doppi passaporti, all’entrare e uscire dai confini degli Stati senza farsi notare, aveva finito con il costruirgli una personalità magnetica e insieme sfuggente. In questo era anche favorito dal vivere in una colonia tedesca, quella di Tokyo isolata all’altra estremità del mondo dove gli echi della madrepatria arrivavano attenuati e dove manifestare, come egli faceva, il radicalismo critico di chi si considerava fuori dalla mischia, veniva più addebitato al carattere di un ex combattente che a valutazioni ideologiche anti-regime.
In fondo, il torto di Sorge consisté nell’aver ragione rispetto alle certezze rivelatesi sbagliate di Stalin, e non gli fu perdonato. Dopo il suo arresto fu abbandonato al suo destino, a differenza di quanto in situazioni simili era stato fatto in passato. Nemmeno la moglie, rimasta in Russia, fu risparmiata: le tolsero prima il lavoro, «attività criminale» la causa, poi l’arrestarono, infine l’esiliarono in Siberia, dove morì di fame e di freddo. Come scrive Matthews, «la tragedia di Sorge fu la corrotta vigliaccheria dei suoi capi che misero la loro carriera davanti agli interessi vitali di un Paese al cui servizio aveva sacrificato la vita».