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 2020  gennaio 26 Domenica calendario

Se il principe Carlo va a sinistra

Mi si spezza il cuore a vedere le vostre sofferenze». Mai un membro della famiglia reale britannica aveva espresso una solidarietà simile al popolo palestinese. Che a farlo sia l’erede diretto al trono, nella sua prima storica visita in Cisgiordania, è ancora più significativo. «Nessuno, arrivando a Betlemme, può negare i segni delle privazioni che affrontate», ha dichiarato questa settimana il principe Carlo di fronte alla chiesa della Natività. «Posso solo unirmi alle vostre preghiere per una pace giusta e durevole. Dobbiamo perseguire questa causa con fede e determinazione, sforzandoci di lenire le ferite che hanno causato così tanto dolore».
L’uomo che sarà re veniva da Gerusalemme, dove ha partecipato con simile emozione alla cerimonia per il 75esimo anniversario della liberazione di Auschwitz lanciando un’accorata denuncia dell’antisemitismo: «Odio e intolleranza si nascondono ancora nel cuore umano, dobbiamo essere risoluti nel resistere a parole e atti di violenza», ha affermato accanto al primo ministro Netanyahu. La regina Elisabetta non ha mai visitato né Israele, né i Territori Palestinesi. Il 71enne principe di Galles invece ha voluto andarci e con un messaggio molto politico.
“Appello di Carlo per la pace in Medio Oriente”, titolava ieri in prima pagina il Daily Mirror. Non è la prima volta che il principe dice la sua con candore su questioni delicate. Ma una così decisa intercessione in difesa dei diritti dei palestinesi, subito dopo un discorso altrettanto forte al convegno di Davos, dove ha stretto la mano sorridendo a Greta Thunberg per poi denunciare i rischi del cambiamento climatico («serve una svolta rivoluzionaria del nostro modello economico, se vogliamo salvare il pianeta») fa sorgere un dubbio: e se Carlo fosse di sinistra? L’ipotesi è probabilmente azzardata. In passato i suoi interventi lo hanno fatto emergere come una specie di ibrido, un conservatore antisistema: protettore di alcuni valori tradizionali, come i diritti del countryside, «se i campagnoli fossero una minoranza etnica, nessuno li toccherebbe», ma impegnato in battaglie oggettivamente progressiste, come l’urbanistica dal volto umano. Per quanto Renzo Piano e altri archi-star lo giudichino un ostacolo all’innovazione.
Anni fa una serie di sue missive ai politici britannici, finite sui giornali grazie alla legge sulla libertà di informazione, rivelarono che pensa di essere “un dissidente”: una sorta di ribelle all’interno della royal family. Sebbene la monarchia debba restare imparziale, ruolo interpretato con rigore da sua madre per più di sessant’anni, lui afferma senza mezzi termini di avere «un attivo interesse in tutti gli aspetti della vita britannica» e di credere che parte del suo compito sia «sottolineare problemi e rappresentare punti di vista che rischiano di non essere ascoltati». Funzione da svolgere per lo più “confidenzialmente”, precisa, ma senza rifuggire da posizioni in pubblico, come ha fatto sui palestinesi a Betlemme e sull’ambiente a Davos, tra l’altro in contrapposizione a Donald Trump. Chissà se continuerà anche con la corona in testa.
Di certo ha meno peli sulla lingua della regina. Come dimostrò a chi scrive queste righe quando, in occasione di un banchetto di gala a Buckingham Palace nel 2005 per la visita del presidente Ciampi, sorseggiando il caffè nel fumoir disse: «Da noi in Gran Bretagna uno come Silvio Berlusconi non potrebbe mai diventare primo ministro». Non fosse per il timore di farglielo andare di traverso, l’avremmo abbracciato chiamandolo “compagno principe”.