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 2020  gennaio 26 Domenica calendario

La metamorfosi di Anastasiya

Tutto più nero di come sembra. Perché se non ci fosse di mezzo l’omicidio di Luca, 24 anni, atleta con faccia da ragazzino, se non ci fossero di mezzo il traffico di droga fai-da-te, l’amico mediatore che tradisce, i 70 mila euro spuntati dal nulla e spariti nel nulla, i due balordi venuti da San Basilio a prendersi i soldi e la vita, in cambio di un colpo di pistola, ci sarebbe davvero da sorridere leggendo le chiacchiere telefoniche tra il ragazzo derubato della vita e la sua Anastasiya. Lei: «Ti va ancora di stare con me? Ti va di amarmi?». E lui: «Ho paura, ma comunque sì, voglio stare con te, tu?». Lei: «Tengo un mondo a te». Lui: «Anch’io». Lei: «Sei la mia gioia».
Amore telefonico di perpetua adolescenza, che ogni tanto si volta in litigio. Per gelosia o lontananza. Lui: «Sono arrabbiatissimo. Non posso andare avanti così». Lei: «Sappi che la mia vita ha cominciato a fare schifo da quando ci sei tu». Lui: «Io mi fidavo». Lei: «Ti ho detto che andavo a casa e sto a casa».
Tutto secondo i canoni innocui dei battibecchi da pomeriggi televisivi, che sono cibo per casalinghe e addestramento dei giovani cuori, con conseguenze emotive di sola superficie. Ma che stavolta sono lo sfondo incongruo di una tragedia vera, un giallo che ancora se ne sta nascosto nel punto più visibile di questa storia, gli occhi blu di Anastasiya Kylemnyk, 25 anni, venuta a vivere sotto il sole di Roma da molto lontano, Volochysk, 20 mila abitanti, Ucraina occidentale, quando era ancora bambina, anno 2003, con madre separata, risposata, e molti sogni da inseguire.
L’infanzia senza drammi, la scuola nel quartiere piccolo borghese di Appio Latino. Poi il liceo classico Augusto. L’università in fuori corso. La scuola di danza, la palestra. La passione per i viaggi e la ginnastica. L’amore per gli animali. I lavori saltuari da cameriera e babysitter, anche se le sarebbe piaciuto fare la fotomodella, perfetta nel corpo e nello sguardo coronato dai capelli biondi e da una punta di malizia nel sorriso.La sua è una storia di vita standard. Una sequenza di foto Instagram che la ritraggono in tuta tra i tapis-roulant dei suoi allenamenti e i paesaggi dei suoi viaggi: laghi, montagne, il mare. Sempre sorridente, un selfie dopo l’altro. Sempre specchiandosi sola. Almeno fino all’incontro, quattro anni fa, con il ragazzo della sua vita, Luca Sacchi, ancora più atletico di lei, personal trainer di mestiere con il sogno di aprire una palestra. Sembrano fatti l’uno per l’altra e lo sono: giovani, belli, in piena salute, a corrispondersi abbracci, baci e promesse. Lei che si accomoda volentieri a casa di lui. «L’abbiamo accolta come una figlia», diranno i genitori di Luca. Dormono insieme nella cameretta, fanno insieme le vacanze. Lei più indipendente, più sveglia, lui più solido di progetti. «Sei perfetto in tutto, sai fermarmi, sai invogliarmi», gli scriverà una notte. Per poi rinfacciargli il contrario: «Quindi tu starai sempre dalla parte di tua madre e non dalla mia, giusto?». E poi: «Se ti dicesse: scegli me o lei, tu dirai sempre tuuuu mammina, vero?». Sembra tutto un gioco innocuo di amore e disamore, ora che il sangue ha cancellato la piccola routine del mondo di prima.
Era la notte del 23 ottobre scorso, marciapiede davanti al John Cabot, pub del quartiere Tuscolano. Due ragazzi armati, uno di pistola, l’altro di una mazza da baseball, assaltano Luca e Anastasiya, picchiano e sparano. Lui muore, lei piange. Sembra uno scippo finito male. E lei lo racconta così ai carabinieri e pure al primo telegiornale che la intervista: «Volevano il mio zainetto. Luca mi ha difeso. Lo hanno ucciso. Luca era il mio amore».
Ma un giorno alla volta, salta fuori l’impensabile. C’è di mezzo un tale Giovanni Princi, amico di infanzia di Luca, con vita meno specchiata, qualche precedente per spaccio. Ci sono di mezzo i due presunti killer Valerio del Grosso e Paolo Pirino, 21 anni a testa, piccoli trafficanti, con i loro 15 chili di marjuana pronti per essere venduti. E c’è di mezzo lo zainetto rosa di Anastasiya, con i 70 mila euro pronti per l’acquisto. Quindi non era un assalto casuale, il loro, ma una trattativa finita male.
I carabinieri lo scoprono perché da settimane stanno intercettando Giovanni Princi che si è incontrato un paio di volte con un pezzo pesante dello spaccio romano, Fabio Casali, collegato ai narcos colombiani. E scoprono che Giovanni Princi parla spesso con Anastasiya. Lo fa usando Signal, una applicazione che manda e riceve messaggi criptati. E scoprono che Anastasiya non è arrivata a piedi al Pub, come diceva, ma con la sua piccola Citroen C1, che proprio Princi ha spostato di corsa quella notte.
E insomma niente di quello che Anastasiya ha detto sembra vero. Visto che anche i due balordi hanno confessato la trattativa, compreso il fatto che volevano prendersi i soldi tenendosi la droga, rapinarli al volo, fregando quei ragazzi da nulla, “trafficanti improvvisati”.
Da allora Princi, Del Grosso e Pirino sono in carcere, più un altro paio di complici. Lei se ne sta chiusa in casa, con l’obbligo settimanale di firma e manda al diavolo i giornalisti che provano a parlarle quando va in caserma. Ricomparirà al processo per direttissima. Dovrà spiegare le bugie dette e le verità taciute. Chiarire che rapporti aveva davvero con Princi, dove avevano trovato i 70 mila euro, dove sono finiti, cosa si dicevano nei messaggi che avevano fatto ingelosire Luca e insospettire sua madre. Ma specialmente dovrà svelare il dettaglio più oscuro della storia, se Luca sapeva oppure solamente sospettava quello che stava per accadere quella notte al Pub. Se era lì per proteggerla da qualche oscura minaccia. Oppure se anche lui partecipava a quel progetto spericolato di comprare all’ingrosso e rivendere al dettaglio, moltiplicare per due i soldi, come fosse un gioco da nulla.
Nell’ultima estate del mondo di prima, Anastasiya gli aveva scritto: «Forse potremmo diventare solo degli ottimi amici. È questo il futuro che ci aspetta». E davvero sembrava un futuro possibile, forse addirittura scontato. Ma da allora è andato tutto storto.